Il gulag, visto al di qua del filo spinato.

Cosa era il gulag per quelli che erano al di qua del filo spinato, per i militari sovietici? Nella storia siamo abituati ad avere le preziose testimonianze dalle persone, dalle vittime che hanno subito la deportazione, la sofferenza e l’ingiustizia, ma sono davvero pocchissime i documenti e le testimonianze da parte di quelli che hanno avuto il ruolo di sorvegliante della tirannia. Quando ho scoperto questo libro non mi veniva da credere, capivo che avevo tra le mani un tesoro, una fonte storica importante come quando all’università maneggiavo dei libri preziosi, per un attimo ho avuto la sensazione di essere una studentessa pronta a scoprire qualcosa di nuovo.

“Dove sono capitato?” , ” Hanno tutti lo stesso sguardo sospettoso e sfuggente…Tristezza e noia. Siberia, Siberia”. Così inizia il diario di un comandante russo, Ivan.

“Diario di un guardiano del gulag” è una testimonianza eccezionale, un documento storico. E’ il diario, tenuto in segreto, di un comandante russo che aveva il compito di sorvegliare i detenuti del gulag siberiano. Ivan Cistjakov è stato traferito nell’Ottobre del 1935 da Mosca nella regione di Svobodnyj, situata in Siberia, dove si stava costruendo il secondo binario della ferovia Bajkal-Amur (la famosa transiberiana). A lui è stato affidato il comando di un plotone. Il progetto è stato chiamato BAM – un progetto di importanza militare con l’impiego di lavoro forzato. “Intorno c’è taiga… quante tragedie umane, quante vite perdute in questa parola. Si rabbrividisce solo a sentirla: taiga. La strada della Siberia, le deportazioni, le prigionie…”. Ivan, giovane comandante, istruito e con tante speranze nella vita, una volta arrivato nella fredda Siberia trova un degrado e una disperazione inimmaginabile. “Nessuno pensa che siamo esseri umani, ci conoscono solo come comandanti di plotone, tutto qui. All’occasione si ricordano che rappresentiamo il potere sovietico… Davvero la nostra vita è questo bordello? …Perduti nella taiga noi viviamo, noi costruiamo, noi proviamo emozioni, ci occupiamo di geometria…” Ivan comincia a tenere un diario dove annoterà tutto il suo dolore, tutte le sue domande sulla vita e sulla veridicità del potere staliniano.

Per Ivan il diario diventa subito tutta la sua vita e la sua salvezza. Ci sono passaggi del diario dove scrive tutta la sua sofferenza nel trovarsi lì, fuori dalla civiltà, prova pena per i detenuti (zek) e per se stesso. Aveva la responsabilità di sorvegliare gli zek che evadevano in continuazione e il lavoro della costruzione della ferovia. Si lavava una volta al mese, dormiva in una baita fredda e umida. Viveva con un unico pensiero: andarsene al più presto da lì! “Fa freddo, ho ammazzato un pidocchio, solo venti giorni fa stavo a Mosca. Vivevo. E qui? Qui non c’è niente, è spaventoso e inconcepibile. La vita appare da ora irrisoria e inutile… Ci sono gli zek al lavoro. Si guadagnano la libertà con metri cubi di terra e metri di rotaie. E io come mi guadagno la mia smobilitazione? Non mi sono lavato, non c’era acqua. E domani? Forse sarà lo stesso…”

Gli inverni siberiani sono freddi, Ivan descrive il freddo come un grande nemico, ci sono giornate che arriva anche a -45°C. “Fa freddo fuori e dentro. Anche nella mia anima è freddo e buio… Oggi non abbiamo più legna, ho le mani gelate… Per dormire mi avvolgo in due coperte, un cappotto di pelle e un pellicciotto. Questo è il vuoto, sento che io stesso sono vuoto. Tutto mi è indifferente, se qualcuno evade non andrò a cercarlo, che vada al diavolo…”, “Intanto gli zek evadono. La libertà. La libertà anche con il freddo e la fame, niente può sostituire la strada. D’altronde anche a me piacerebbe passare una giornata fuori da lagher…”. Le sue giornate passano tra domande, sofferenze, fame, freddo, voglia che arrivi la primavera. Ivan non aveva amici, non poteva averli perchè si renderà conto che i soldati arruolati erano degli analfabeti, rozzi, ignoranti e incolti, non sa con chi sfogare la sua rabbia ed i suoi dubbi: “I giorni passano e qual è il mio futuro?” , “Ogni giornata vissuta è un pezzo di vita, che si sarebbe potuto vivere e non vegetare…”.

I mesi passano e il suo stato d’animo peggiora, pensa addiritura al suicidio, scrive poesie struggenti e non crede più agli slogan staliniani. Quando legge qualche giornale sovietico come ad esempio “La stella rossa” non crede più agli articoli che descrivono l’Unione Sovietica come un “paese della scienza” : davvero un paese evoluto può lasciare i suoi militari a vivere in condizioni del genere?

Ivan Cistjakov rimarà in servizio lì nelle taighe della Siberia per due anni. Due anni vissuti al confine del mondo; troverà la forza per resistere ed andare avanti, nella natura, perchè aveva capito che contro l’orrore del BAM poteva combattere solo con la maestosa potenza della taiga, delle montagne, delle foreste. Affida al diario pensieri che all’epoca sarebbero risultati antisovietici, ma nel profondo lui capisce e sa che quella era la verità, capisce che nel sistema staliniano l’individuo non vale niente! Capisce che i lagher sono una cosa mostruosa e si sentirà più vicino ai detenuti che al sistema sovietico, era sempre più sbalordito dalle condizioni spaventose e disumane in cui versavano i detenuti, impegnati nel faticoso lavoro forzato della costruzione della ferrovia.

Tenere un simile diario era estremamente pericoloso all’epoca. Grazie a queste pagine possiamo renderci conto della vita che c’era in un gulag, delle condizioni e degli stati d’animo. Praticamente non solo i detenuti soffrivano e dovevano pagare una pena mostruosa, ma anche i militari sovietici che venivano arruolati per la sorveglianza diventavano automaticamente delle vittime di un regime totalitario.

Nel 1937 Ivan Cistjakov verrà arrestato. E’ davvero un miracolo come il suo diario non sia finito nelle mani delle spie sovietiche.

Grazie a questa sua testimonianza possiamo ancora di più capire la malvagità di un remige spaventoso, fanatico e disumano!

Quando da qualche parte sui social leggo commenti del tipo: “Deve andare in Siberia” o “Deve essere mandato ai lavori forzati in Siberia”, rabbrividisco! Non augurerei nemmeno al mio peggior nemico una mostruosità del genere. L’ignoranza di alcuni leoni da tastiera fa sempre capire quanta strada deve ancora fare l’umanita per farsi perdonare il passato!

Tatiana

“Zuleika apre gli occhi” …

Avete mai letto un libro che vi ha fatto sentire parte della storia?

Oggi vorrei parlarvi di un libro straordinario, “Zuleika apre gli occhi” di Guzel’ Jachina. Un romanzo intenso, potente, pieno di dolore che lascia il lettore senza fiato. Un romanzo che racconta i fatti, l’orrore e tradizioni, una storia inventata ma inserita in un periodo storico veramente esistito.

La storia si svolge negli anni ’30, nel Tatarstan dove vive Zuleika, donna laboriosa che teme il marito. Subirà violenze e maltratamenti da parte di suo marito e per ogni sua violenza lei troverà una giustificazione perchè la fede e le tradizioni lo imponevano. Perchè crede in Allah e lo teme, perchè è stato lui a portarle via 4 figlie piccole.

Eranno gli anni dell’occupazione sovietica nel Tatarstan, tutti i terreni di proprietà venivano confiscati per essere trasformati in “kolhoz” (proprietà agricole collettive sovietiche); chi non voleva cedere i propri terreni e tutto quello che possedeva veniva ucciso, o deportato nella lontana e fredda Siberia, perchè i proprietari di terreni e di bestiami venivano considerati nemici della rivoluzione sovietica: i cosiddetti “kulak”.

Nel freddo febbraio del 1930 toccò anche al marito di Zuleika cedere tutti i propri averi. Lui si oppose e venne ucciso e a Zuleika toccò una sorte ancora più tragica e crudele: la deportazione in Siberia. Da questo punto in poi il lettore viene messo di fronte al calvario che subivano i deportati, l’autrice descrive nei minimi dettagli il lungo e orribile viaggio verso l’inferno. Nelle pagine di questo libro viene descritto per bene il fanatismo di questo regime, un fanatismo malato e ossessivo:

“…Dove venivano deportati i kulak? Dove il partito comanda!”

“…Si amano le grandi cause: la rivoluzione, il partito, il proprio Paese e non una donna…”.

“… Metteremo a faticare chi ha sfruttato il lavoro proletario e gli insegneremo come si vive da sovietici…”.

Il Tatarstan si colorava sempre di più del colore rosso come la bandiera sovietica. Tutti avevano paura, e nessuno veniva risparmiato.

Il viaggio di Zuleica verso la Siberia insieme agli altri deportati durò 6 mesi con il treno, durante i quali molti di essi morirono, quasi 398 persone.

Proprio in quel vagone malandato Zuleika farà nuove amicizie e scoprirà una luce dentro di sè che le darà speranza, ma anche timore.

Proprio a partire da questo viaggio entrerà in scena un altro personaggio principale con un’anima turbolenta: il comandante Ignatov.

Troveremo questi due personaggi, Zuleika e Ignatov, per tutto il romanzo a combattere non solo la lotta per la sopravvivenza nella taiga Siberiana ma anche a combattere le loro lotte interne, i peccati interni da scontare, demoni interni che mangeranno piano piano le loro anime. Due personaggi diversi ma molto simili, attratti uno verso l’altro da una calamita invisibile che non raggiungeranno mai nè la pace interna, nè quella esteriore. E’ proprio questo il punto di forza del romanzo, è proprio questo che il lettore vorrà capire, ma non ci riuscirà.

Nel libro vengono descritti in modo eccezionale i luoghi della Siberia. Non sono mai stata in Siberia, ma ho sentito anche io il freddo siberiano addossso mentre leggevo, ho sentito la fame e la disperazione dei deportati. Ho assistito, leggendo, all’orrore della vita dei deportati in Siberia, quel posto ai confini del mondo. Dal nulla nella taiga Siberiana hanno costruito un villaggio e non avevano diritto a possedere nulla, nemmeno la propria anima. La propaganda sovietica esisteva anche lì, venivano spiati perchè nessuno doveva parlare male del governo sovietico.

Ho letto in un fiato questo romanzo, che alla fine è una storia nella storia, quasi una testimonianza di un orrore realmente esistito.

Posso dire che questo romanzo è un racconto di una vita tragica, ma con piccoli raggi di sole che raggiungono anche la lontana e fredda taiga Siberiana.

Buona Lettura, Tatiana.