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Mangia con il pane!
Tîka (racconto 1)
Tîka* mi guarda con la coda dell’occhio, sento che mi sta osservando, so già che anche con il suo osservare di nascosto mi da degli insegnamenti.
-Vedi Vasile il legno lo devi comandare te, lo devi stringere forte tra le mani quando lo metti sul banco-sega. Il legno deve sapere chi comanda, se ti trova debole o in un momento di distrazione allora si ribella, le schegge ti si infilzano dritte nella carne e la battaglia l’hai persa te.
Poi si china verso il pezzo grosso di legno che ha sul banco e comincia a levigarlo. Sta facendo una porta d’ingresso per una casa. So che uscirà un bel lavoro, tîka sa fare bene il suo lavoro. Fa il falegname praticamente da quando era ragazzino e anche suo padre faceva il falegname. Mi piace stare qui nel suo laboratorio, mi sento al sicuro qui. Sembra quasi un rifugio dal mondo intero, il soffito non è alto e l’unica finestra che c’è è piccola e il pavimento è cosparso di segatura che arriva quasi sopra alle cavilie; se ci penso bene non ho mai visto il pavimento del suo laboratorio pulito. Ma mi piace molto così, è il mio asso nella manica, quando giocherò a nascondino con i miei amici Andrii e Kolea, mi nasconderò in mezzo a tutta questa segatura, voglio vedere se mi troveranno!
Sulle mura sono appesi vari attrezzi, trapani di varie misure, martelli, pinze, morse, seghe, pialle. Non posso toccare qualcosa senza il suo permesso, tîka dice sempre che per un vero uomo, le dita della mano sono importanti e senza il suo permesso meglio tenere le mani in tasca.
-A cosa pensi, Vasile?
-Pensavo… ma io diventerò falegname come te?
-Tu diventerai chi vuoi! Al giorno d’oggi tutti vogliono entrare nel partito e vivere di slogan, che stupidi! Non sanno contare neanche fino a 10 ma pretendono di sapere come si lavora, che vergogna! Io non mi lascio intimorire dalle loro parole, io conosco bene il mio lavoro, conosco bene la mia testa e le mie mani, e quando unisco queste due forze insieme nessun partito del mondo mi può fermare! Vedi Vasilica, la gente viene da me per chiedere aiuto per costruire le loro case, io non dico mai di no, perchè la casa è una cosa importante, vado, guardo il terreno, prendo le misure, conto, poi scelgo il legno, faccio i miei calcoli di tutte le finestre e porte che ha bisogno quella casa, delle travi per il tetto e tutto lo faccio con queste mani, con questa testa, con gli occhi e con questa matita! Ed ecco che tira fuori da dietro l’orecchio la sua matita, mi son sempre chiesto come fa a non cadere mai, ovunque tîka vada la matita è lì, dietro l’orecchio come un’amica fidata pronta ad esserci in caso di necessità.
-Tu Vasilica non fidarti mai di quelli del kolhoz, tu cerca sempre la tua di strada! Per ora pensa ad imparare bene i numeri e tutto quello che ci sta nei libri e a far pascolare bene la mucca, perché anche questo non è da tutti.
Il vento della sera soffia dolcemente, io continuo a guardarlo lavorare, il rumore dei suoi strumenti è davvero assordante ma in quei rumori, come mi ha insegnato tîka, sento la voce di una casa che presto prenderà forma.
La mamma ci sta chiamando per la cena, tîka spegne i macchinari, si mette il cappello sulla testa e mi guarda dicendo:
-Andiamo figliolo, ho una fame tremenda! Chissà oggi il borsce con cosa ce lo ha preparato la mamma?! e sorride facendomi l’occhiolino. Nell’uscire accarezza ancora una volta la tavola di legno che piano piano prenderà la forma di una porta e spegne la luce!
È una serata serena, nell’aria sento il profumo del borsce della mamma e l’odore del legno appena lavorato. Sulla strada passa ancora qualche vicino con passo lento che porta a casa la mucca dal pascolo, i cani in lontananza abbaiano e io penso che da grande farò proprio il falegname, avrò la mia matita fidata dietro l’orecchio, un cappello in testa e delle mani giganti proprio come tîka, per poter far capire al legno chi comanda.
Tika* – parola usata in dialetto del Sud della Moldova, per chiamare il padre.
Racconto dedicato a mio zio Vasile, che non ho mai conosciuto, ma è sempre nel mio cuore.
Tatiana
Dor
C’è una parola in moldavo che in qualsiasi dizionario di un’altra lingua non si puo’ trovare: DOR.
Dor è un mondo, è uno stato d’animo, è una mancanza, un desiderio, un amore che vorresti che tornasse, lacrime, felicità, dolore, nostalgia, ricordi… quando usiamo questa parola in una frase o in un discorso, qualcosa dentro nel cuore si muove appena la si pronuncia. Dor, nella nostra cultura, dopo la parola amore, è la più usata nelle canzoni e nelle poesie.
Dor per me sono i miei nonni e i ricordi che ho di loro. I nonni materni li ho persi troppo presto, ma ricordo che ho sofferto e l’amore per loro è forte anche oggi. Quando torno a casa mi faccio sempre raccontare da mia mamma o dalle zie qualcosa su di loro. La vita non è stata buona con loro, un dolore grande li ha mangiati piano piano, anno dopo anno e alla fine le loro anime si sono lasciate andare. Oggi il loro dolore lo porto io nel mio cuore e mi sono promessa che finchè vivrò ne avrò memoria e rispetto.
Mi piace ricordare il nonno materno chiuso dentro il suo laboratorio di falegnameria, sempre indaffarato. Era un grande e rispettato falegname. Aveva radici gagauze e questa cosa mi rende orgogliosa, forse perchè mi piace pensare ed immaginare che i miei antenati fossero dei varolosi turchi con una storia ricca come leggo nei libri di storia. Il nonno odorava sempre di legno e quando andava in bicicletta attaccava delle mollette alle estremità dei pantaloni, così riusciva a pedalare meglio. La nonna aveva sempre il fazzoletto in testa e il grembiule attorno alla vita. Cucinava una minestra con fagioli e barbabietola di una bontà unica (la chiamavo sempre minestra rossa), succede a volte che nell’aria sento il profumo di quella minestra e mi piace pensare che è lei, la nonna, vicino a me.
I miei nonni paterni erano buoni e cari, amavo molto da piccola andare a trovarli. La nonna aveva un sorriso contaggioso, rideva sempre di gusto e parlava sempre dolcemente a noi nipoti. Amava molto la chiesa, conosceva ogni preghiera a memoria, e in chiesa aveva il suo posto assegnato, non si perdeva nessuna quaresima: con rispetto e devozione seguiva ogni regola. Con il nonno aveva un rapporto speciale, si vedeva che si amavano e rispettavano. Il nonno le parlava sempre con dolcezza. Lui per tutta la vita ha avuto un cavallo con la carrozza, e com’era orgoglioso ogni volta che ci saliva! Quando ho perso prima la nonna e poi dopo qualche anno il nonno, ero lontana milliaia di km. Ai funerali non sono potuta andare… Arriverà il momento in cui mi potrò mai perdonare questa cosa? Penso mai!
Mi fa sentire bene ricordare i nonni, mi fa sentire bene tenere sempre vive le mie radici. E in fondo la parola Dor mi fa sentire a casa.
Pensavo e ripensavo quale mia foto poter allegare a questo articolo.
Alla fine ho scelto questa foto scattata nel 2016 da qualche parte nei campi del mio paesino. Questo è un tipico pozzo moldavo, detto anche “cumpana”. I nonni paterni ne avevano uno uguale nel loro giardino, ero sempre attratta da quel pozzo: mi piaceva il rumore che faceva il secchio vuoto appena toccava l’acqua in fondo al pozzo e mi piaceva il movimento delle braccia che si doveva fare per tirare su il secchio pieno d’acqua.
Anche i nonni materni avevono un pozzo nel loro giardino, ma fatto in modo diverso. Vicino al pozzo c’era un albero di mela cotogna. Aveva un profumo incredibile quell’albero! Ma ancora più profumato era il succo che faceva la mia nonna con i suoi frutti!
Tatiana
Una donna e un regime…
Amo i libri di storia. Si trova sempre la verità in essi. Nei libri di storia si può trovare, per chi vuole, una cura per il presente, errori da non commetere e momerie/testimonianze da non dimenticare.
Il periodo che amo di più leggere, studiare è la storia contemporanea, cerco sempre di fare delle mie piccole ricerche e di giungere a delle le mie conclusioni.
Sono nata in un periodo non facile per il mio paese, ho vissuto i ultimi anni dell’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche)… un regime odioso, falso, criminale. Nella storia contemporanea il regime più studiato e condannato è il regime nazista, ma dovete sapere e si deve sapere che accanto a questo ne esisteva uno uguale e altrettanto pericoloso: il regime sovietico! Basato su delle ideologie malate e false, si voleva creare un ideale sovietico supremo: chi non sosteneva queste ideologie era considerato una minacia per il regime stalinista e veniva eliminato.
Forse non tutti sanno che anche il regime sovietico ha delle macchie vergognose e mostruose da far uscire alla luce del sole. Forse non tutti sanno che anche il regime sovietivo aveva messo in pratica piani di deportazioni in massa, tutto organizzato a livello di stato, tutto organizzato da Mosca. In Moldova (allora R.S.S.M. Repubblica Socialista Sovietica Moldava) le prime deportazioni sono state fatte a partire dai primi anni ’30 nella lontana Siberia, famiglie distrutte, un intero popolo massacrato. Lavaggi del cervello e storia del mio paese cancellata.
Il libro “Quanto vale un uomo” di Evfrosinija Kersnovskaja, moldava di origini polacche, è la testimonianza di una vita onesta distrutta da un regime a cui la parola “onesta” non andava bene. Il libro è un diario, delle memorie scritte da Evfrosinija quando è tornata dopo tantissimi anni dal Gulag staliniano in Siberia, dove è stata deportata perchè ritenuta un pericolo, un nemico per l’ideologia sovietica e quindi per il partito sovietico. Il motivo? Tutti coloro che avevano della terra di proprietà e la coltivavano con molto rispetto e onore venivano considerati dei ribelli e dei “chiaburi” (aristocratici, ricchi); nessuno poteva avere la propria terra. Le terre, i fiumi, i laghi, ogni albero e filo d’erba era del regime sovietico. Tutto apparteneva al regime nei cosidetti “Kolhoz” (proprietà agricole colletive, quindi del regime sovietico).
In queste pagine troviamo racconti e memorie di una donna forte nonostante il destino crudele: quel viaggio infinito nel treno del bestiame verso una meta sconosciuta, nonostante le umiliazioni, il dolore fisico, la fame, poi il lavoro durissimo nelle foreste, nelle miniere, lei, Evfrosinija ha saputo affrontare tutto con dignità. All’inizio è stata deportata nella regione di Novosibirsk poi nel lager di Noril’sk, situato oltre il Circolo Polare Artico. E’ stata sempre una grande lavoratrice, ed è proprio questo che l’ha salvata e le ha fatto rinconquistatre la libertà. Dopo 12 anni di lagher, di duro lavoro, umiliazioni, ingiustizie riuscì a riconquistare la sua libertà!
Questo libro è un’importante fonte storica, una testimonianza che tutti dovrebbero leggere e conoscere! Nei primi capitoli si trova una descrizione precisa della sua vita da contadina e dell’instauramento del regime sovietico, con tutte le sue bugie e ingiustizie.
Ho voluto dedicare questo mio articolo in questo giorno, 8 marzo, a lei: Evfrosinija, una donna forte che ha vinto contro un regime; si, perchè lei nel suo piccolo ha vinto! Ha resistito, è tornata, ha scritto, ha raccontato, ha testimoniato ed ha vinto!
Questo libro è stato tradotto in 25 lingue ed è stato dichiarato un monumento della cultura europea.
Quanto vale un uomo, una donna? …
Tatiana
Il pane dell’infanzia
Nella mia Confettura Di Parole non potevo non raccontarvi della tradizione della mia famiglia di come si cuoceva il pane in casa.
Il pane si preparava rigorosamente di sabato, tutta la giornata ruotava intorno a quell’evento che iniziava al mattino prestissimo verso le 4-5 e finiva nel tardo pomeriggio, quasi all’ora di cena.
Ogni famiglia aveva un forno in casa. I forni erano fatti con dei mattoni e argilla, erano lunghi 2 metri e larghi poco più di un metro. Il nostro forno si trovava in cucina. D’inverno la cucina diventava la mia stanza peferita: quando la mamma preparava il pane, faceva talmente caldo che si stava in maniche corte e la cucina odorava di lievito madre.
Era una giornata molto impegnativa, si lavorava tanto. Quando la mamma preparava l’impasto era sempre molto concentrata. Ci diceva di fare i bravi e di non farla arrabbiare con i nostri capricci, perchè il pane non doveva essere preparato con il cuore arrabbiato ma con un cuore sereno. Prima di lasciare riposare l’impasto diceva una preghiera e vi faceva sopra il segno della croce. Lo copriva bene, con due o tre coperte e aveva sempre cura che la porta e le finestre della stanza dove riposava l’impasto fossero sempre chiuse bene: non si dovevano creare spifferi o entrare dell’aria fredda.
Quando le forme con dentro l’impasto del pane venivano messe nel forno era un momento di massima concentrazione, tutto il mondo si fermava in quei movimenti lenti, la mamma diceva sempre la stessa frase: “Adesso deve lievitare e dorare bene”.
Poi la grande festa era quando il pane veniva tirato fuori dal forno! Gli occhi della mamma erano sempre contenti e le guance rosse; adesso che il pane era pronto poteva tirare un sospiro di sollievo. Da una infornata uscivano 10 pani, rotondi, profumati, dorati. In Moldova nelle canzoni e nelle poesie si dice che il viso della mamma assomigli al pane, ed è vero! La sua morbidezza e bontà si può paragonare solo ad una mamma!
Da piccola la mia merenda preferita era il pane con sopra la marmellata, di prugne, fatta in casa.
Al mattino, prima di andare a scuola, facevo il mio bel panino e poi lo arrotolavo in un pezzo di giornale. Se ci penso bene, solo ora mi rendo conto dell’importanza di quel gesto. Avvolgevo in quel pezzo di giornale un pezzo del cuore di mia mamma, di quel suo viso bello e morbido.
Tatiana.
Una fotografia… un luogo
Mi piace questa fotografia, non so spiegare il perchè… forse per il posto. Nel mio paese dove sono nata c’è il monastero di San Nicola (Sfintul Nicolae). Sono anni che stanno costruendo la chiesa (solo grazie alle offerte).
Il monastero si trova fuori paese, un po’ lontano, perso nei campi e colline. Mi piaceva quell’estate prendere la macchina e girare per i campi. Quando giro per quelle stradine non troppo larghe, piene di polvere devo sempre avere i vetri della macchina su, se no la polvere invade tutto e mi trovo con una nuvola di nebbia davanti agli occhi e l’interno della macchina coperto di un strato grigio di polvere antipatica. Sapete quale è il suono dei campi in estate? Nessun suono, ti senti un minuscolo punto in tutta quella terra fertile, in lontanaza vedi dei trattori che lavorano la terra e senti il loro eco. Ogni tanto senti la potenza del vento che muove gli alberi, il grano, i vigneti, i girasoli. Se guardi attentamente sembra che la natura si muove come delle onde del mare, ogni tanto qualche nuvola fa delle chiazze più scure per terra e si crea un gioco bizzaro tra il vento che riconcorre quell’ ombra.
Amavo fare la strada che portava al monastero, ogni tanto ci andavo per accendere una candela. Appena scendevo dalla macchina mi sentivo molto bene, come se la terra su cui avevo messo i miei piedi mi accarezzasse. All’ingresso ci sono dei cani, al guinzaglio, che ti abbaiano per metterti in guardia, ma fanno solo il loro dovere di proteggere il luogo.
Sembrava che anche l’aria era diversa, si respirava tranquillità. Ho incontrato qualche monaca, mi guardavano e mi sorridevano con gli occhi facendomi un cenno leggero con la testa come per dire: ” Benvenuta cara!”. Ho visto un crocefisso grande e dei fiori che facevano una corona per terra in torno a lui; pian piano che esploravo il luogo sentivo un profumo forte di latte, formaggio… ah già le monache hanno la loro piccola fattoria.
Ed ecco che mi sono trovata davanti una chiesa che è ancora un cantiere. Ho visto un ragazzo che portava dell’acqua fresca dal pozzo con due secchi. Dove avrà portato quell’acqua?
Mi piaceva quella scena, ho fatto delle fotografie, ho acceso qualche candela. Altre volte quell’estate sono tornata lì, mi sentivo accolta, la preghiera mi avvolgeva sempre e mi sentivo in pace.
Ci sono luoghi che ti entrano nel cuore, così ? Così semplicemente…
E tu amico lettore del mio blog, hai avuto mai la sensazione che un luogo ti appartenesse, dove ti sei sentito in pace con il mondo, dove la terrà l’hai sentita tua?
Alla prossima, Tatiana.