Due anni di guerra e giudizi.

Due anni di guerra in Ucraina
Foto dal web, febbraio 2024 da qualche parte sul fronte ucraino.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina mi capita di sentire o leggere commenti che davvero mi fanno paura. Si, ho paura quando sento dire che non si devono più fornire armi o che si deve trovare la pace e dialogare per la pace, certo come se la pace si trovasse così facilmente per strada o da qualche altra parte. Ho paura quando la gente, o alcuni giornalisti, si mettono con il loro metro di giudizio e totalmente inesperti a misurare quali delle guerre che ci sono oggi nel mondo è più importante dell’altra. Questa è una cosa orribile! Come se un popolo ha più diritto di un altro a combattere per la propria libertà.

Nell’ultimo periodo in tanti sono diventati insofferenti verso la guerra in Ucraina, quando leggono o vedono i servizi alla TV cambiano canale o girano la pagina del giornale sbuffando: “ancora sta guerra”. Come se volessero a tutti i costi che tutto finisca al più presto possibile così vanno a dormire tranquilli: “oh bene dai nella vicina Ucraina non c’è più guerra, adesso posso farmi gli affari miei con la coscienza pulita”. Ho l’impressione che più la guerra è vicino a noi come territorio, chilometri più ci si chiude nel guscio “non voglio vedere, non voglio sentire, finitela al più presto”.

Voglio dire a quelli che gridano no alle armi, vi siete mai fermati e chiesti perché il popolo ucraino resiste ancora? Forse in questi due anni se lo avessero voluto avrebbero ceduto, no? Vi siete chiesti perché in questi due anni i soldati ucraini sono pronti a morire per la loro patria gridando “Gloria all’Ucraina!”?

Voi siete qui nelle vostre case, nei vostri letti, nei vostri bar a far aperitivi emettendo giudizi pensando di sapere tutto sull’argomento dopo aver letto un articolo chissà dove, o visto un video su Instagram. Beh, vi dico una cosa, magari è giusto se andate in biblioteca per documentarvi sulla storia, parlate con persone che vengono da quei paesi dove la Russia ha sputato per decenni, chiedete a loro perché non hanno voglia che la Russia torni a occupare e terrificare, perché fa così orrore questo pensiero. Cercate i blog dei giovani russi che coraggiosamente scrivono della tirannia del loro paese, guardate le interviste fatte per strada nelle città russe ai cittadini russi che per paura di non dire una parola sbagliata parlano della guerra con gli occhi, con lo sguardo pieno di lacrime. Informatevi con quale prezzo si paga in Russia la libertà della parola.

In questi due anni ne ho sentite davvero di tutti i colori e il cuore mi faceva e fa male. Perché nessuno di quelli che danno dei giudizi si è preso il disturbo di chiedersi semplicemente: “Perché resistono così tanto?”

Io so, io mi ricordo, io non dimentico ed io con orgoglio dico: Grazie Ucraina che ci stai salvando!

Tatiana

Il potere delle parole.

Succede a volte che le parole girano per la mente, nell’anima, per tutto il corpo come se fossero delle api stordite in fuga. Le parole girano, ti danno il tormento, non si vogliono allineare in fila per dare sfogo libero a un pensiero. Di giorno fai tranquillamente le tue cose e all’improviso loro si affacciano alla tua porta chiedendo di essere sentite. Il tormento è talmente forte che per settimane non sono riuscita a scrivere nulla qui sul blog. Mi piace ascoltare le parole, mi piace quando riesco ad usarle, mi piace donarle agli altri e leggerle nei libri. Oggi, direbbe qualcuno, siamo pieni di parole. Una volta, penso ai tempi dei miei nonni, le persone erano di poche parole, quando si diceva qualcosa era detto con talmente tanta verità e senso che quello ti bastava per una vita intera. Oggi invece siamo circondati di parole dette con leggerezza tante volte sui social, in TV, alla radio o nei vari podcast. Si danno per scontato i detti, non si valorizzano più i pensieri e i libri. Cadiamo quasi in banalità se vogliamo usare parole corrette e gentili, ormai per essere ai tempi con la vita moderna scarabocchiamo e insultiamo il nostro linguaggio, trasformiamo le parole e le usiamo solo per ferire, insultare o deridere.

Mi piace leggere le parole, mi piace quando mi accorgo quanto mi arrichisco e quanto mi perdo via pensando, leggendo, annalisando, amando un libro!

Mi piaciono le parole!

Rimango sbalordita e incantata quando trovo libri che mi colpiscono in pieno petto e mi lasciano senza fiatto. Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna del lettore, mi sono imbatutta sono in letture sconvolgenti! Sapete qual’é la mia parte preferita quando lego un libro? Quando chiudo il libro dopo che l’ho abbia finito. Mi perdo per giorni a pensare alla trama, sopratutto ai personaggi, all’ambientazione e anche al messaggio che lascia il libro che ho appena finito di leggere. Ci sono dei libri che sconvolgono fino alle lacrime, libri che vorresti che non finiscano più, letture che ti fanno sentire parte di quello che stai leggendo, come se sentissi/annusassi l’aria che stanno respirando i personaggi. E’ incredibile il mondo che si crea dentro di me e abbandonarsi a esso! Quando mi capitano letture del genere mi accorgo quanto invidio gli autori. Ditemi se non è una benedizione avere il dono di creare mondi e storie che ti fanno innamorare, volare, spezzare il cuore ma allo stesso momento donare ossigeno. Ammiro moltissimo gli autori o le autrici che usano le parole per spiegare la vita, per spiegare che la vita è fatta di mille volti. Lo fanno con talmente tanta semplicità e naturalezza che finisci per capire quanto potere hanno le parole usate al modo giusto. Ecco, si, alla fine quando si trovano autori del genere si capisce che si trova un tesoro. Vi lascio qualche nome degli autori che vorrei al meno una volta incotrare e fare una sola domanda: “Come sono riusciti a domare le parole creando opere straordinarie come le loro?”

Tiffany McDaniel, Paolo Cognetti, Valèrie Perrin, Guzel’ Jachina, Marco Balzano.

Ma ce ne sono moltri altri ancora.

Immaginate solo per un momento quanto potere ha ognuno di noi dentro di se. Se solo imparassimo ad usare le parole giuste quanti litiggi, guerre finirebbero. Non avremmo bisogno di nient’altro, ne di scudi, ne di armi solo della nostra bocca, anima e buon senso.

Ecco oggi sono riuscita ad allineare le parole, forse erano mature al punto giusto per far nascere questo articolo. Mi piaciono le parole, alla fine, con la loro semplicità si possono creare tanti mondi.

Vi lascio i nomi di alcuni libri che ho letto. Spero che vi lasciano dentro un mondo profondo e sconvolgente come lo hanno fatto con me.

“Sul lato selvaggio” di Tiffany McDaniel

“L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel

“La ladra di parole” di Abi Darè

“Chiamami col tuo nome” di Andrè Aciman

“Resto qui” di Marco Balzano

Buona Lettura!

Tatiana

Lottare per 30 anni, per una nazione che non esiste.

Foto di Vadim Ghirda marzo 2022 “Fiori posti dalle persone su un veicolo militare ucraino distrutto”

In questi giorni sui giornali, alla TV, sui social si parla tanto di Transnistria. Del presunto interesse da parte del Kremlino di creare una linea a sud e a sudovest dell’Ucraina che arrivi fino alla Transnistria.

Leggo tantissime informazioni e sento varie opinioni sull’argomento transnistriano. Per introdurre questo argomento bisogna iniziare con la cosa più importante e corretta: il territorio della Transnistria fa parte ed è il territorio della Repubblica Moldova!

Facciamo qualche passo indietro arrivando all’anno 1989, quando cadde il muro di Berlino e il mondo sovietico piano piano si stava sgretolando. I paesi sotto l’URSS uno dopo l’altro vinsero le loro indipendenze, come successe anche in Moldova. La Transnistria, situata a est, ha il fiume Nistru che fa da frontiera naturale tra lei e tutto il resto del territorio della Moldova. Quando nel 1991 la Moldova dichiarò la sua indipendenza, la Transnistria era sotto shock. Il suo cuore altamente sovietico non voleva smettere di battere. Infatti dal 1990 al 1992 furono tanti i conflitti tra i militari moldavi contro le forze separatiste. L’incapacità dei politici moldavi di allora, l’implicazione su larga scala della Russia, hanno avuto come conseguenza una guerra chiamata anche moldo-russa durata da marzo a luglio ’92 con più di 300 morti e la presenza permanente (anche ora) della 14-a armata russa sul suolo della Transnistria. Grazie proprio alla protezione di Mosca, le autorità della Transnistria si sono autoproclamate come Reppublica moldava di Transnistria ( una nazione che non esiste riconosciuta solo dalla Russia, anche tuttora), non hanno mai riconosciuto la bandiera della Moldova, la lingua rumena come lingua di stato, la moneta moldava.

Oggi la Transnistria vive in un mondo che non esiste, vive ancora in un mondo sovietico. La popolazione è poco più di 500.000 abitanti. La lingua ufficile è il russo e nelle scuole si studia rispettando il sistema educativo russo. Sulla sua bandiera è presente il simbolo assoluto del mondo sovietico “la falce e il martello”. La mafia russa ha in mano tutto il sistema economico del territorio. Per entrare sul territorio della Transnistria ci sono vere e proprie frontiere, e l’accesso non è scontato.

Sono 30 anni che questo è un argomento molto dolente per la Moldova, soprattutto in questi mesi. Non c’è mai stata una discriminazione nei confronti della popolazione transnistriana (come cerca e cercherà di far credere Mosca), semplicemente vogliamo che tutto il territorio della Repubblica Moldova viva in pace e senza frontiere, senza un orco malvagio pronto giorno e notte a controllare un pezzettino di terra che non è MAI stato suo. Anche perchè in Transnistria vivono i nostri parenti, amici, e nessuno vuole il male di nessuno. La propaganda russa è molto forte sul suolo moldavo, immaginate in Transnistria com’è! Dobbiamo restare uniti e non cedere alle provocazioni ed alle insinuazioni!

Ogni moldavo è preoccupato, siamo un paese molto piccolo. Vogliamo diffendere la terra, la pace e soprattutto la nostra identità nazionale che per tanti anni ci è stata rubata, violentata e massacrata! Abbiamo paura, proprio come il popolo ucraino che tutto possa ritornare come 30 anni fa: povertà, disinformazione, paura, criminalità alle stelle, un sistema politico antidemocratico e tanto lavaggio del cervello.

Qualche giorno fa un ragazzo ucraino (rifugiato con problemi di salute) a un certo punto mentre parlavamo mi ha guardato dritto negli occhi e con voce piena di orgoglio patriottico mi ha detto: “Noi vinceremo, perché stiamo difendendo la nostra terra. L’Ucraina appartiene a noi, siamo motivati, siamo patriottici e nessuno potrà mai toglierci la nostra casa!” Poi gli occhi gli si sono riempiti di tristezza, ha distolto lo sguardo dicendo: “Vinceremo, ma dispiace molto per tutti i morti…”

Tatiana

Non diteci di rinunciare alla libertà.

Foto di Francesca Mannocchi, Charkiv, 02/03/2022 *

Mondo del ventunesimo secolo non lasciarci finire nelle mani dell’oscurità! Abbiamo già vissuto, abbiamo sofferto sotto questa dittatura, sappiamo cosa vuol dire: “non aprire bocca e non vedere le cose”.

Homo sovieticus non tornare, non sei più di moda, non sei necessario in un mondo moderno!

C’è stato un tempo in cui l’uomo sovieticus non doveva pensare con la sua testa, non doveva dire parole in più, non doveva essere orgoglioso (sentimento assolutamente troppo democratico), non poteva sognare, non doveva assolutamente perdere tempo perchè chi perdeva tempo non era un vero sovietico. C’è stato tempo in cui nella mia terra non si parlava più la mia lingua, non si cantavano canzoni nella mia lingua, non si studiava più la storia dei nostri antenati, non si pregava e non si guardava verso l’occidente. Ci sono stati tempi in cui chi era una minaccia veniva eliminato e la paura faceva parte della vita quotidiana. Per generazioni il lavaggio del cercello faceva parte del sistema politico al comando, per generazioni si è pensato: “non viviamo bene perchè non ce lo meritiamo”… Con cosa e in cosa abbiamo sbagliato, in cosa ha sbagliato il mio popolo per meritarsi queste oppressioni? Abbiamo avuto SOLO la sfortuna di essere geograficamente posizionati troppo vicino a una terra imperialista!

Oggi c’è la guerra, si legge, si vede, si testimonia ogni giorni così tante attrocità. Alcuni capiscono la voglia di difendere la propria terra altri la condannano. Io sono dalla parte di chi capisce.

Quando, nel ’91, la Repubblica Moldova ottiene la sua indipendenza, tutto il popolo sognava la libertà e la democrazia. Anche se nessuno che usciva dal mondo comunista sapesse in realtà cosa volesse dire vivere in democrazia. Come ci si doveva comportare in un paese libero e senza paura? Le aspettative erano molto alte, finalmente il patriottismo era sulla bocca di tutti, i poeti lo scrivevano e i cantanti lo cantavano. Poi negli anni, l’entusiasmo piano piano si spense, la delusione si leggeva negli occhi di ogni cittadino. In tutti questi 30 anni d’indipendenza abbiamo avuto al potere solo politici filorussi: il cordone ombellicale russo non era stato mai tagliato. Si viveva sempre sotto la stretta sorveglianza russa, solo che non si usava più la parola “dittatura”, ma una specie di “democrazia camuffata russa”. Crisi economica, emigrazione di massa, povertà e niente futuro; questo è stato per 30 anni il mio paese, con al vertice politici filorussi. Quando nel dicembre del 2020 venne eletta come presidente Maia Sandu, il mio popolo finalmente in lei vide uno spiraglio di luce verso la vera vita democratica ed europea. Finalmente il nostro paese allaccia amicizia con diversi paesi esteri, prima gli unici paesi con cui si faceva politica estera erano solo Russia e Bielorussia.

Quando sento in questi giorni alla TV alcuni “opinionisti” che dicono che l’Ucraina si deve arrendere, che dovrebbe piegare la testa, mi viene da urlargli contro! Come si fa a rinunciare alla vita democratica, alla libertà tanto attesa? Come credete che il popolo ucraino può voltare le spalle alla propria terra, alla propria lingua, alla propria libertà dopo tutto quello che hanno dovuto subire negli anni del comunismo e il dopo, proprio come il mio paese? Dovete sapere che il patriottismo, l’amore per la propria terra non si può soffocare!

E anche se la terra ucraina venisse conquistata, come credete che saranno accolti i russi? Credete che il popolo ucraino non uscirà per le strade a protestare? Credete davvero che rinuncerà facilmente alla propria terra e tornerà la pace? Credete davvero che non si verserà più sangue?

Maledetto sia colui che vuole la terra di qualcun altro!

Maledetto sia colui che ha distrutto l’infanzia e il futuro di tanti bambini!

Maledetto sia colui che ha distrutto e raso al suolo intere città e paesini!

Maledetto sia colui che ha violato la terra fertile di un altro paese!

Maledetto sia colui che ha separato i padri dai propri figli!

Maledetto sia colui che fa piangere tante donne e bambini!

Maledetto sia colui che non ha coraggio di ammettere la parola “guerra” ma si sta nascondendo dietro le parole “operazione militare”.

Maledetto tu che hai tolto la libertà di parola al tuo popolo e lo stai trasformando in un popolo disinformato, selvaggio e analfabeta!

Non ditemi che le ragioni e gli sbagli sono da entrambe le parti, perchè in un mondo civile si discute con le parole a un tavolo rotondo, non con le armi invadendo come se fossimo nel medioevo!

Mi sento vicina al popolo ucraino, perchè so quello che hanno vissuto per anni, perchè noi siamo i loro vicini di casa, perchè la paura di un ritorno della malvagità ce l’ha anche il mio popolo!

Cлава Уцраїна!

*La foto all’inizio dell’articolo è della giornalista Francesca Mannocchi, che è sul fronte ucraino. La foto rappresenta una macchina dei civili che sta cercando di lasciare il paese sotto attaco. Sui vetri della macchina c’è scritto “bambini”, così si spera che la macchina non venga attacata.

Tatiana

Vivere la vita.

In queste ultime settimane mi sono totalmente dedicata alla lettura, ho lasciato le parole, l’ispirazione, il blog in vacanza. Non ho mai seguito una regola rigida di come e quando pubblicare, anche perché ci sono momenti che ami alla follia prendere possesso delle parole che ti girano per la mente e metterle in ordine su un foglio, ma poi ci sono momenti in cui odi il vulcano di parole che sta per eruttare nella tua testa.

Faccio un po’ fatica a seguire le onde delle mode o delle regole. Non mi piace dar etichette alle cose che faccio e non mi piace avere cose preferite. Per esempio io non ho una canzone preferita, non ho un genere preferito di musica, non ho un dolce preferito e nemmeno un film. Non ho un libro preferito, perchè ne ho un’infinità, e di libri potrei parlare per ore. Non ho un profumo preferito, non ho una stagione e nemmeno un frutto preferito.

Non mi piace racchiudere quella che sono in una definizione precisa e marginale, mi sembra quasi un peccato, come direbbe mia mamma. Ma poi perché? È così bello amare tutto, non dare preferenze ma godere, imparare, stupirsi, gioire, piangere grazie a tutto quello che vivi giorno dopo giorno, grazie a tutto quello che ti capita di ascoltare, leggere, annusare, assaggiare! Perché devo per forza avere una sola cosa preferita quando il mondo offre così tanto?!

E poi un’altra cosa che non amo fare, sono i resoconti o bilanci di ogni anno che passa. La vita va vissuta! Penso che ognuno di noi si renda perfettamente conto ogni giorno come va la sua vita, basta rispettare i valori che sono i pilastri delle nostre esistenze. Perché devo giudicare e controllare? Piuttosto vivo, sbaglio, corro, mi stupisco, amo, abbraccio e poi sbaglio ancora.

So che la vita di oggi ci porta sempre nel vortice del “subito e ora”. Non abbiamo pazienza nemmeno per fermarci ad ascoltare la risposta a un “come stai?”.

Sapete di cosa mi sono resa conto? Che si è dimenticato come ci si sente quando la vita procede lentamente, come nelle scene dei film dove fanno vedere certi momenti al rallentatore; per esempio: uno sguardo, un bacio, un arrivederci, una nascita, una separazione.

Ma quanto è bello perdere tempo per leggere un libro, perdere tempo per guardare fuori dalla finestra con una tazza di caffè in mano, o di perdere tempo per tenere abbracciata la persona cara per più di un minuto, o di guardarsi nello specchio al lungo, ma non per truccarsi ma per passare con il dito intorno ad ogni ruga, accarezzare la pelle e chiedersi come va. Perdere tempo per mangiare con gusto una fetta di torta senza sentirsi dopo in colpa, per guardare le foto negli album e per piangere quando e dove ne abbiamo voglia!

Buona vita cari miei lettori! Vi auguro tempo per ogni vostra scelta e, ricordate, siate unici e perdete più tempo possibile per cose che faranno battere il vostro cuore ancora di più!

Tatiana

È il momento dell’inverno.

Quando comincia un inverno? Senza accorgerci l’inverno vive sempre dentro di noi, anche quando fuori ci sono 30 gradi. L’inverno è quello stato d’animo che chiede rifugio in un posto caldo, accomodante, sicuro, silenzioso, sotto a delle coperte che tengono al sicuro il nostro cuore. Rifugio dal mondo che ci circonda, quel mondo, quelle situazioni che tante volte ci fanno sentire fuori luogo, minacciati dai pregiudizi. Soli contro tutti, messi all’angolo perché non seguiamo la moda del momento. Ed è allora che l’inverno che vive dentro di noi allarga le sue braccia a forma di rami spogli: ci abbraccia e ci sussura con un eco secco “vieni, qui sei al sicuro”. In quei momenti ci spogliamo come gli alberi prima del grande freddo, ci spogliamo delle bugie, inganni, fregature, tradimenti; lasciamo tutto sulla soglia di casa, chiudiamo la porta, spegniamo i telefoni, come si spengono piano piano i canti degli uccelli a fine autunno, diamo un’ultima occhiata dalla finestra al mondo fuori e finalmente RESPIRIAMO!

L’inverno è il momento dei pensieri lenti, di una casa accogliente, del tè nella tazza preferita, dei vestiti comodi, della musica, degli abbracci, dei profumi della mamma, di lettere scritte a mano, dei bagni lunghi, dell’amore fra le lenzuola, è il momento di quei romanzi che hai letto decine di volte, ma senti ancora il desiderio di ripassare quelle parole che ti fanno sognare.

Quando ne abbiamo bisogno, allora perché non cerchiamo l’inverno che c’è in noi e cerchiamo di stare bene? Mettiamo intorno al collo una sciarpa fatta di parole rassicuranti, alle mani mettiamo dei guanti fatti di carezze e combattiamo contro tutto quello che ci fa stare male. Bisogna fare di ogni stagione una virtù, bisogna credere in quel freddo che pizzica le guance, ma che ci ricorda che siamo vivi.

L’inverno porta attimi di riflessioni, davanti al camino acceso si può fissare il fuoco con le sue fiamme magnetiche e capire quanto in questa vita nulla è facile, tutto è dannatamente confuso ma ogni risposta si trova proprio con una buona tazza di tè in mano (come disse qualcuno).

È il momento dell’inverno fuori e dentro di noi.

Tatiana

Cosa sono i colori della vita?

Se ci pensiamo bene nelle nostre vite ogni momento ha un suo colore. Alcuni colori sono visibili ad occhio nudo, altri invece si vedono solo  con l’occhio dell’anima.  Eh si, perché succede che l’anima veda  meglio la realtà.

Basta guardare un’alba o un tramonto per capire la potenza del mistero che ci circonda e della potenza dei colori di quel momento, ci commoviamo, gioiamo, fotografiamo, condividiamo, ci meravigliamo.

Ma la felicità che colore ha? Quando sentiamo le farfalle nello stomaco, quelle farfalle di che colore sono?Quando abbracciamo la persona cara, quando accarezziamo i nostri nonni, quando diamo un bacio , quando diamo la mano ai nostri bambini, quando sorridiamo, quando cantiamo, quando balliamo … che colori hanno tutti questi  momenti?

La tristezza, l’infelicità avranno anche loro dei colori. La malinconia, la nostalgia, la lontananza… la morte, la disperazione…

Ognuno di noi quando apre i cassetti di tutti questi sentimenti belli o meno, emane un colore, perché la vita è così- unica e speciale. Nessuno merita di essere incolore, la vita è troppo breve per essere sprecata solo nel bianco o nel nero. Lasciamo entrare i colori nelle nostre vite, coloriamo ogni istante, diamo importanza a ogni tonalità forse così un pochino staremo anche meglio!

Per esempio se adesso chiudeste per un istante gli occhi e vi chiedessi qual è il colore della vostra infanzia? Ci avete mai pensato? Scavare nei ricordi e trovare quel colore che subito vi da la sensazione di sentirvi a casa, al sicuro. Bhe per me è il colore della marmellata di prugne che preparava sempre mia mamma, le mie merende preferite pane e marmellata. O quando pulivo le noci ancora non pronte e queste mi lasciavano sulle palmi delle mani un colore marrone che non se ne andava via per settimane, e puntualmente prima di entrare in classe la maestra ci controllava le palmi delle mani sgridandoci: “il decoro a scuola è importante!” me lo ricordo come fosse ieri.  O il colore giallo della polenta, sapete i miei nonni mangiavano sempre la polenta dicevano che è la cosa più buona e sana del mondo, bhe i nonni loro hanno un colore a parte che non esiste nella scala dei colori, è un colore che si vede con l’anima… ecco un altro mistero piacevole della vita!

Ecco i miei esempi e voi ne avete?

Tatiana

È autunno in Moldova

È ora di aprire una confettura autunnale. Una di quelle confetture che metti da parte per giornate piene di malinconia.

In un qualsiasi paesino moldavo quando chiedi a un contadino cosa è per lui l’autunno, lui ti risponderà: “Tanto lavoro!”.

L’autunno, per chi lavora la terra, inizia quando l’uva si trasforma in mosto, quando le famiglie intere si radunano per la vendemmia. L’autunno inizia quando l’aria cambia; un profumo nuovo avvolge tutto, è il profumo della terra fertile che è pronta a donare i suoi raccolti.

È autunno quando i contadini lasciano le semplici scarpe per indossare le galosce e i cappelli, le donne, le ragazze mettono in testa i fazzoletti per protegersi dai venti freschi e i bambini cominciano ad avere i nasini sempre colanti.

Davanti ad ogni cancello ci sono rimorchi pieni di granoturco da pulire e sistemare. Gli alberi di noci vengono spogliati dai loro doni e nell’orto rimangono gli ultimi ortaggi da raccogliere. Quando si passa per strada e si guarda nei giardini di ogni casa, si vedono le botti in legno pulite, aggiustate, pronte per essere riempite con il nuovo vino.

È autunno quando nei beciuri* non c’è più posto. Sono strapieni di conserve di ogni tipo: dolci o salate, olio, botti di vino piene, rigorosamente da consumare durante il lungo inverno e primavera.

È autunno in Moldova, quando i campi rimangono spogli dopo le ultime raccolte, la terra di color nero viene preparata per l’arrivo dell’inverno e la frutta raccolta dai frutteti è messa nelle casse lasciando le foglie gialle a fare i loro balletti indisturbate. Da mattina a sera l’unico rumore che si sente per le vie dei paesi e nei campi è il rumore dei trattori.

Per me l’autunno iniziava quando a scuola si faceva il festival dell’autunno, “Autunno d’Oro”, quando il mio papà portava a casa rimorchi di legna da sistemare sotto i muri dei fienili, servivano per riscaladre le case durante l’inverno. Era un lavoro molto faticoso, per noi bambini soprattutto ma nessuno si tirava indietro, sapevamo che tutto serviva per il nostro bene! E i fienili invece erano pieni di patate, cipolle, con sacchi di farina di grano duro e di mais.

Un contadino sa che la terra non aspetta, bisogna sempre ascoltarla e rispettarla. Un contadino sa che durante l’autunno non c’è tempo da perdere, le piogge sono più spesse, i venti più rigidi e l’inverno può arrivare all’improviso.

C’è tanto lavoro in Moldova, le mani di un contadino non sono mai stanche, il cuore mai tranquillo, l’anima sempre in preghiera e gli occhi sempre all’insù a guardare il cielo come cambia.

beciuri*- cantina tipica moldava, scavata nella terra. Alcuni hanno queste cantine in casa, altri scavate nel giardino. Sono un luogo naturale, come un frigorifero, dove si conservano le proviste.

Tatiana

Tîka (racconto 1)

Tîka* mi guarda con la coda dell’occhio, sento che mi sta osservando, so già che anche con il suo osservare di nascosto mi da degli insegnamenti.

-Vedi Vasile il legno lo devi comandare te, lo devi stringere forte tra le mani quando lo metti sul banco-sega. Il legno deve sapere chi comanda, se ti trova debole o in un momento di distrazione allora si ribella, le schegge ti si infilzano dritte nella carne e la battaglia l’hai persa te.

Poi si china verso il pezzo grosso di legno che ha sul banco e comincia a levigarlo. Sta facendo una porta d’ingresso per una casa. So che uscirà un bel lavoro, tîka sa fare bene il suo lavoro. Fa il falegname praticamente da quando era ragazzino e anche suo padre faceva il falegname. Mi piace stare qui nel suo laboratorio, mi sento al sicuro qui. Sembra quasi un rifugio dal mondo intero, il soffito non è alto e l’unica finestra che c’è è piccola e il pavimento è cosparso di segatura che arriva quasi sopra alle cavilie; se ci penso bene non ho mai visto il pavimento del suo laboratorio pulito. Ma mi piace molto così, è il mio asso nella manica, quando giocherò a nascondino con i miei amici Andrii e Kolea, mi nasconderò in mezzo a tutta questa segatura, voglio vedere se mi troveranno!

Sulle mura sono appesi vari attrezzi, trapani di varie misure, martelli, pinze, morse, seghe, pialle. Non posso toccare qualcosa senza il suo permesso, tîka dice sempre che per un vero uomo, le dita della mano sono importanti e senza il suo permesso meglio tenere le mani in tasca.

-A cosa pensi, Vasile?

-Pensavo… ma io diventerò falegname come te?

-Tu diventerai chi vuoi! Al giorno d’oggi tutti vogliono entrare nel partito e vivere di slogan, che stupidi! Non sanno contare neanche fino a 10 ma pretendono di sapere come si lavora, che vergogna! Io non mi lascio intimorire dalle loro parole, io conosco bene il mio lavoro, conosco bene la mia testa e le mie mani, e quando unisco queste due forze insieme nessun partito del mondo mi può fermare! Vedi Vasilica, la gente viene da me per chiedere aiuto per costruire le loro case, io non dico mai di no, perchè la casa è una cosa importante, vado, guardo il terreno, prendo le misure, conto, poi scelgo il legno, faccio i miei calcoli di tutte le finestre e porte che ha bisogno quella casa, delle travi per il tetto e tutto lo faccio con queste mani, con questa testa, con gli occhi e con questa matita! Ed ecco che tira fuori da dietro l’orecchio la sua matita, mi son sempre chiesto come fa a non cadere mai, ovunque tîka vada la matita è lì, dietro l’orecchio come un’amica fidata pronta ad esserci in caso di necessità.

-Tu Vasilica non fidarti mai di quelli del kolhoz, tu cerca sempre la tua di strada! Per ora pensa ad imparare bene i numeri e tutto quello che ci sta nei libri e a far pascolare bene la mucca, perché anche questo non è da tutti.

Il vento della sera soffia dolcemente, io continuo a guardarlo lavorare, il rumore dei suoi strumenti è davvero assordante ma in quei rumori, come mi ha insegnato tîka, sento la voce di una casa che presto prenderà forma.

La mamma ci sta chiamando per la cena, tîka spegne i macchinari, si mette il cappello sulla testa e mi guarda dicendo:

-Andiamo figliolo, ho una fame tremenda! Chissà oggi il borsce con cosa ce lo ha preparato la mamma?! e sorride facendomi l’occhiolino. Nell’uscire accarezza ancora una volta la tavola di legno che piano piano prenderà la forma di una porta e spegne la luce!

È una serata serena, nell’aria sento il profumo del borsce della mamma e l’odore del legno appena lavorato. Sulla strada passa ancora qualche vicino con passo lento che porta a casa la mucca dal pascolo, i cani in lontananza abbaiano e io penso che da grande farò proprio il falegname, avrò la mia matita fidata dietro l’orecchio, un cappello in testa e delle mani giganti proprio come tîka, per poter far capire al legno chi comanda.

Tika* – parola usata in dialetto del Sud della Moldova, per chiamare il padre.

Racconto dedicato a mio zio Vasile, che non ho mai conosciuto, ma è sempre nel mio cuore.

Tatiana

Il dolore degli anni ’90.

Gli anni ’90 cosa sono stati per una bambina nata in un piccolo paesino in Moldova?

Ero una bambina di 6 anni quando sono arrivati gli anni ’90, non capivo la novità e la svolta che prendevano le cose nel mio paese, ma da come si viveva giorno dopo giorno, anche una bimba che andava alle elementari capiva la pensatezza della realtà.

Nell’agosto del ’91 la Moldova dichiarava la sua indipendenza, finalmente libera dalla bocca avida e mostruosa dell’URSS. La Moldova ha vissuto per 47 anni nell’ombra dell’URSS. Quando abbiamo conquistato la nostra indipendenza, la felicità e la liberazione erano grandi, si sognava un futuro libero, prospero e pacifico.

L’URSS ha reso il mio paese come un essere non vedente, per noi le cose più belle erano quelle sovietiche, i cibi più buoni quelli sovietici, la vita più bella era la vita sovietica in un kolhoz, il paese più bello era la grande URSS. Non sapevamo come si viveva negli paesi, oltre i confini sovietici. Quando l’indipendenza è stata conquistata, piano piano tutto quello che si poteva vendere e prendere è stato privatizzato. I rubli russi erano caduti e con l’arrivo della nuova moneta, quasi tutta la popolazione è rimasta senza risparmi. In quel momento è cominciato il declino!

Il nuovo governo era incapace di alzare in piedi la nuova Repubblica Moldova, ha cominciato a rubare (beh, lo facevano tutti in tutti i settori, tutti erano affamati di soldi e stufi della povertà). Il paese è entrato in una crisi mai vissuta prima.

Maledetti anni ’90…

Negli anni 1995/96 la crisi divenne ormai irreversibile. Ero bambina, ma capivo benissimo tutto, e sulle mie spalle fragili da bambina mi pesava tutto. La corrente elettrica era staccata in tutti i paesini: avevamo corrente elettrica 2 ore al giorno; l’acqua al rubinetto non esisteva più, il riscaldamento d’inverno negli edifici pubblici era un miraggio. D’inverno quando andavamo a scuola ci portavamo dietro un cuscino o una coperta da mettere sulla sedia gelida nella nostra classe. Si studiava imbacuccati. La nostra scuola era un edificio grande e bello, con un giardino sempre immacolato. In inverno però diventava un edificio trappola, troppo freddo e invivibile. In alcuni inverni delle classi furono traferite in aule dell’asilo, perché venivano un po’ riscaldate ed almeno si poteva togliere il giubbino.

Maledetti anni ’90…

Siccome non c’era mai la corrente elettrica i compiti a casa si facevano con le lampade alimentate a gas. La cena la facevamo con la lampada sul tavolo, in quei momenti la vita fuori dal buio, dipendeva dalla luce che emanavano quelle lampade.

Maledetti anni ’90…

Negli anni ’90 gli uomini andavano a cercare lavoro in Russia, oppure a Odessa (la cosiddetta zarabotka). Famiglie divise per mesi interi. Poi dagli anni 2000 hanno cominciato anche le donne ad andare nei paesi lontani a cercare lavoro: in Italia, Israele (la richiesta di lavoro per le donne in questi paesi era veramente molta). Da un giorno all’altro il nostro paese rimase senza mamme, donne, maestre, dottoresse, nonne… Tutti cercavano la felicità, tutti volevano uscire dalla povertà e l’unica via d’uscita era andarsene. Le donne, le mamme, le sorelle se ne andavano e chi rimaneva a casa soffriva. Non esisteva una famiglia nei paesini dove una donna di casa non fosse all’estero. Piano piano le feste non erano più le stesse: il Natale non era più gioioso, i compleanni erano tristi e le lacrime erano tante, perché mancava o la mamma o la sorella o la nonna.

Sono cresciuta anche io con il grande desiderio che un giorno me ne sarei andata a cercare la felicità.

Le mie spalle da bambina vissuta negli anni ’90 avevano solo un desiderio: di scrollarsi di dosso la sofferenza di quegli anni.

Amo molto il mio paese, la mia terra. Siamo davvero un popolo con un cuore grande, abbiamo tradizioni e fede nel cuore e non riesco ancora a perdonare chi ha fatto così tanto soffrire la mia bella terra. Tutto è cominciato da un regime fanatico che ha seminato solo povertà e ignoranza. Abbiamo pagato e stiamo pagando tutt’ora le conseguenze del regime sovietico. Sono ormai 30 anni che stiamo pagando a caro prezzo la grande russificazione che abbiamo vissuto!

Ogni giorno mi convinco sempre di più che la libertà è sacra, che una persona informata non può essere manipolata, che non si deve permettere a nessuno di calpestare la propria vita e aspirazioni!

Oggi quando sento la frase: “I soldi non fanno la felicità”, penso: “Allora non avete vissuto negli anni ’90 in Moldova…”.

Tatiana