Lo sport che educa. (intervista)

L’ultimo articolo che ho pubblicato parlava della fede nei cuori dei ragazzi di oggi, se esiste, se i ragazzi trovano rifugio in essa.

Forse il mio cuore di genitore e la mia curiosità da persona cresciuta in anni molto diversi da quelli di adesso, mi spingono a farmi sempre delle domande ed ho scoperto con grandissimo piacere che articoli del genere piacciono anche a voi. E’ proprio vero, la semplicità non passa mai di moda.

Oggi voglio scrivere dello sport. Lo sport che educa, che unisce, fa gioire e battere forte le emozioni! Cosa è lo sport oggi per un/a ragazzo/a? E’ passato di moda o è ancora la colonna stabile di una generazione? Per capire meglio e avere un’opinione da un esperto in materia ho chiesto aiuto a Gian Luca Marini, allenatore e responsabile del settore Minibasket della Pallacanestro Brescia.

Ho incontrato Gian Luca nella palestra Verrocchio a Brescia. I ragazzi della squadra Esordienti avevano appena finito di fare il loro allenamento. La palestra era piena di entusiasmo e risate dei ragazzi, si sentivano i loro canti negli spogliatoi e gli scherzi che si facevano a vicenda.

Che ruolo ha nella vita di un ragazzo lo sport, nella sua crescita? Lo sport può salvare?

“Gli sport di squadra permettono a un bambino o ragazzino/a di riuscire a condividere dei momenti insieme, ma anche di avere un confronto non solo con se stesso ma anche rapportarsi con gli altri! Lo sport è fondamentale, soprattutto nell’adolescenza e salva assolutamente! Ci sono varie situazioni che un ragazzo/a può vivere come: un problema in famiglia, la solitudine o situazioni di bullismo e far parte di una squadra sicuramente lo aiuta e lo fa sentire parte di un gruppo, gli da amicizie su cui poter contare!”

Allenamento insieme a Prezzemolo, Minibasket

I ragazzi di oggi sono diversi dai ragazzi di qualche anno fa?

“I ragazzi di oggi sono molto più svegli per quanto riguarda il digitale, i social. Anche fisicamente, di costituzione i ragazzi di oggi sono più alti di come eravamo noi ai tempi alla loro età però dal punto di vista motorio sono più indietro, hanno poco equilibrio, alcuni proprio non sono capaci di correre e sicuramente una buona parte della colpa sta proprio nel telefonino/social. Lo sport, io tiro acqua al mio mulino, la pallacanestro aiuta anche dal punto di vista cognitivo: riesce a conciliare l’aspetto cognitivo a quello fisico”.

Il basket qui in Italia è sottovalutato secondo te?

“Dal punto di vista mediatico, si. Secondo me è sottovalutato da chi non lo conosce bene, perché dicono: tanto giocano solo quelli alti, o giocano solo i maschi. E’ falso, perché prima di tutto possono giocare tutti e le ragazzine tranquillamente fino agli under 14 possono giocare in squadra insieme ai maschi. C’è da evidenziare una cosa molto importante: sono stati fatti cambiamenti nel minibasket che poi sono stati copiati anche dagli altri sport, perché il minibasket (che è stato strutturato da Maurizio Cremonini) negli ultimi anni fa sì che i bambini ragionino molto mentre fanno basket. E’ stato proprio studiato che nelle proposte educative/esercizi del minibasket i bambini debbano risolvere dei problemi per arrivare a un qualcosa, per esempio arrivare al canestro o a un passaggio e lì il bambino per forza deve ragionare”.

Il basket è vissuto dai ragazzini un po’ come “il grande sogno americano”. Ovviamente tutti hanno come idolo Michael Jordan o LeBron James. Qui sul territorio bresciano la realtà del basket com’è?

“Con il fatto di avere la Pallacanestro Brescia in seria A1 il movimento bresciano ne ha giovato. Per i bambini, ragazzi avere una squadra della seria A1 e seguirli, poter vedere le partite in casa, poter tifare, poter avere degli idoli qui è davvero uno stimolo enorme. I numeri del minibasket sono tornati e sono aumentati rispetto al pre-pandemia, ciò vuol dire che stanno investendo bene e sicuramente la prima squadra (la Pallacanestro Brescia) fa la differenza: la società è brava a coinvolgere i propri giocatori con varie iniziative sul territorio ed a farsi pubblicità”.

Festa di Natale Minibasket

Allora la società Pallacanestro Brescia crede nella continuità?

“Assolutamente si! L’obiettivo numero 1 è non perdere nessuno, dal Minibasket agli under 19. La Pallacanestro Brescia ha creato il progetto “Academy”, dove chi non viene preso a far parte delle squadre del settore giovanile della Pallacanestro Brescia viene dirottato verso Società dell’Academy più comode per le famiglie o più comode per gli orari, o per vicinanza; perciò nessuno ragazzino/a viene lasciato solo.”

Parlando con Gian Luca ho capito che fare sport non è banale, lo sport aiuta, lo sport unisce ed educa. Soprattutto se c’è un allenatore che riesce a far diventare la fiducia nello sport ancora più sana e solida. Gian Luca per i suoi ragazzi prima di tutto vuole essere un educatore; educare a rapportarsi con i propri compagni di squadra, con gli avversari, con gli arbitri; educare a stare in campo. Perché, alla fine, quando si educa ad avere rispetto per quello che ti circonda si ha un sano modo di vivere.

Torneo di fine stagione, giugno 2023. L’Academy Summer Tournament.

Tatiana

La fede nel cuore dei ragazzi (intervista).

la fede nel cuore dei ragazzi
Foto di repertorio, alcuni chierichetti della Parrocchia di Ospitaletto, 2021.

La fede ha sempre nella vita di ognuno di noi un ruolo importante. Ognuno di noi crede in qualcosa/qualcuno che può donare sollievo al proprio dolore e alla propria anima. Cerchiamo e abbiamo bisogno di non sentirci soli e abbandonati, abbiamo bisogno di pregare e di credere che Qualcuno ci sta ascoltando, abbiamo sempre bisogno di speranza. Ogni essere umano almeno una volta nella sua vita si è posto una domanda legata alla fede. Ultimamente però, vedendo i miei bimbi crescere, mi sono chiesta che ruolo può avere la fede nel cuoricino di un/a ragazzo/a? Come può la fede aiutare ed arricchire il cammino di un fanciullo? Ho cercato risposte alle mie domande da Massimo Bertelli, sagrista e responsabile dei chierichetti della nostra Parrocchia di Ospitaletto. Lui, dal 1998, è il responsabile dei chierichetti e ne ha visti di ragazzi passare e crescere nelle tuniche nere e nelle cotte bianche. Oggi nella Parrocchia di Ospitaletto ci sono 25 chierichetti tra gli 8 ed i 22 anni. Chi meglio di lui può darmi la risposta alla mia curiosa domanda: cosa è la fede per un/a ragazzo/a?

Ho incontrato Massimo davanti a un caffè, in un bar storico di Ospitaletto.

In questi anni hai accolto e hai visto crescere un sacco di ragazzi/chierichetti. Come sei riuscito e riesci tutt’ora a trovare un linguaggio che arrivi dritto a loro, come riesci a coinvolgerli?

“Ho sempre pensato che la cosa fondamentale per i ragazzi è che devono essere contenti di venire a servire la messa. Cerco sempre di far trovare ai ragazzi un ambiente sereno, allegro ma in cui trovano anche delle regole chiare; cosa e come devono fare, questo dà a loro sicurezza, ma anche la possibilità di trovare amici.”

C’è una differenza tra i ragazzi di oggi ed i ragazzi di ieri, quelli di 10/15 anni fa?

“C’è una grande differenza. Rispetto ai ragazzi di anni fa, quelli di oggi hanno una minore capacità di avere pazienza, di dedicare tempo. Soprattutto dopo la pandemia, che ha dato un brutto colpo al modo di vivere dei ragazzi. Fanno fatica a restare concentrati, ad avere tempo di stare fermi per pensare; devono avere qualcosa da fare e questo è brutto perché perdono di vista l’importanza di stare da soli con se stessi. E’ vero però che, per fortuna, le amicizie quelle vere, le relazioni fisiche non hanno perso terreno, almeno qui nel nostro paese; qui vedo che c’è ancora voglia di trovarsi, di uscire, di andare a giocare. Comunque i ragazzi vengono sempre volentieri alle riunioni e questo non è poco, nonostante sappiano che magari non giocheranno, ma avranno una noiosa lezione, perché amano stare insieme.”

Un bimbo/ragazzo che inizia a fare il chierichetto sa già bene cosa è Dio, cosa è la fede? Oppure piano piano lo impara e lo scopre nel suo cammino da chierichetto?

“L’importante è che ci sia dietro anche la famiglia, la fiducia della famiglia negli educatori, così si può costruire un cammino di fede. La famiglia è fondamentale, bisogna capire che noi non facciamo catechismo non è il nostro compito, cerchiamo di insegnare qualcosa attraverso la liturgia.”

Allora secondo te, per un ragazzo, per un giovane cosa è Dio? In questi anni ne hai visti, ascoltati, supportati di ragazzi, cosa hai capito?

“Poter dare una definizione è difficile, quello che ho capito in questi anni è che i ragazzi trovano un qualcosa, un senso nel loro servizio e quel qualcosa potrebbe essere Dio per loro. Approfondire è difficile perché hanno età diverse, però ho osservato che i ragazzi sentono che fanno qualcosa per Qualcuno che gli vuole bene.”

Oggi che è tutto troppo moderno nel cuore di un ragazzo/a, a parte i chierichetti, c’è spazio per Dio? Quanto può essere importante avere un punto di riferimento, un Dio, qualunque esso sia?

“Nel cuore di un/a ragazzo/a c’è spazio per Dio, basta solo volerlo. Perché Dio il suo spazio lo trova sempre, Lui è sempre a disposizione. Il problema di oggi, secondo me, è che ai ragazzi manca la possibilità di progettare un futuro a lungo termine, perché c’è una grande incertezza. Questa incertezza può favorire il ricorso alla possibilità di pensare che c’è qualcuno che ti guida, che c’è qualcuno che ti vuole bene, oppure il contrario invece che questa grande incertezza da talmente tanta preoccupazione che Dio viene lasciato da parte. Questo dipende dalla sensibilità di ognuno. Avere un punto di riferimento è molto importante perché vuol dire dare direzione al tuo pianeta, per noi il punto riferimento è Gesù. Diciamo sempre ai nostri ragazzi che la Quaresima serve a capire a che punto si è giunti nel proprio rapporto con Dio, che posto ha Dio nella propria vita e la Pasqua è il complimento di questo cammino. Avere un punto di riferimento per tutti è fondamentale: aiuta a non perdersi! Magari alcuni non lo chiamano Dio ma comunque considerano o sanno che c’è qualcosa di più, poi un giorno scopriranno che è Dio! L’importante è che il punto di riferimento non siamo solo noi, che mettiamo noi stessi come nostro Dio; questo è pericoloso perché vuol dire che gli altri non ci sono, dobbiamo capire che non camminiamo da soli.

Ti faccio una domanda un po’ difficile: come spieghi la Pasqua ai tuoi ragazzi?

“Ho capito che i ragazzi fanno fatica a comprendere anche solo il significato della Quaresima, che è il periodo che prepara la Pasqua. Per esempio l’atmosfera natalizia si vive più intensamente, la si trova ovunque, perfino alla TV; l’atmosfera della Quaresima invece non è così intensa, quasi non esiste. Sentono la Pasqua perché sanno che è importante, che è gioiosa e ci tengono anche. La liturgia pasquale è ricca di segni anche molto semplici e profondi, quello in cui hanno maggiore difficoltà è il venerdì Santo, cioè il momento della passione. E’ una liturgia un po’ complessa in cui loro non devono fare nulla, devono solo stare in ascolto, per loro stare in ascolto in silenzio è molto difficile. Lo fanno, però faticano a capirne il senso, certo lo si spiega che è il momento in cui Gesù da la vita per noi, ma senza segni fisici, come per esempio il giovedì santo quando c’è la lavanda dei piedi e la processione: ecco, questi segni loro già li capiscono meglio.

Ho chiesto a Massimo se i suoi studi sono legati alla teologia, mi ha risposto di no, ha studiato tutt’altro, tecnico dell’industria elettrica. Le sue conoscenze si sono accumulate lungo il suo cammino da sagrista e capo chierichetti. Non potevo che ammirare e rispettare il suo grande amore ed entusiasmo nel parlare della fede. Sono rimasta affascinata dalle risposte semplici ma allo stesso tempo profonde che mi dava, ma mi capita sempre di rimanere affascinata dalle persone che hanno la testa e il cuore pieni di informazioni, cultura e buon senso. C’è sempre da imparare quando si sa ascoltare con attenzione!

Certamente il mistero della fede non ha abbandonato i miei pensieri, continuerò ad osservare, imparare ed ascoltare. Sono ancora affascinata da quei ragazzi che scelgono di fare il cammino da chierichetto perché secondo me alla fine è una chiamata misteriosa e personale. Continuerò a farmi mille domande, ma per ora tengo a mente quello che mi ha detto Massimo e spero che il messaggio della Santa Pasqua sia più sereno ed accolto nei cuori di tutti quelli che leggeranno questo articolo!

Tatiana

“Oggi non si parla del futuro. Si parla del giorno di oggi se non hanno sparato, bombardato perché non si sa domani cosa può succedere.” (intervista)

È passato un anno giusto da quando è inizita la guerra in Ucraina. Pensavo e ripensavo a come potevo dare il mio contributo per ricordare questa data. È un argomento che mi sta molto a cuore, l’Ucraina è la vicina di casa della Moldova, il mio paese, e un amico non si lascia mai in difficoltà. In questa intervista voglio dare spazio alla voce delle persone ucraine.

Conosco da più di un anno Oksana, una ragazza che viene dall’Ucraina. È nata subito tra di noi una bella amicizia, ricordo la mattina del 24 febbraio, quando è iniziata la guerra, ci siamo incontrate davanti all’asilo dei nostri bambini e ci siamo strette in un abbraccio.

Oksana dal primo giorno dall’inizio della guerra si è data da fare mandando nel suo paese aiuti umanitari di qualsiassi genere. Oggi è ancora attiva, nel suo piccolo si è presa l’incarico di aiutare 3 orfanotrofi, che si trovano sul suolo ucraino. Prepara con cura dei pacchi per quei bambini lontani dal mondo intero. Insieme a Oksana c’è Yevheniya, un’altra sua compaesana e il suo compagno Elio. Nella mattina in cui sono andata a trovarli per un’intervista erano indaffarati a sistemare delle calzine da bambino, avevano più di due sacchi enormi da smistare. Elio con tanta pazienza e attenzione faceva il suo lavoro, Oksana e Yevheniya si sono sedute vicino a me ed abbiamo cominciato a chiacchierare.

A Oksana, quando nominavo la parola Ucraina le si riempivano gli occhi di lacrime, ma la forza e l’energia che depone in quello che fa è davvero invidiabile. È un anno che si occupa di raccolte umanitarie, non si ferma mai. Ha tanta energia e forza, mi ha detto che ora quelli che sono rimasti lì a combattere, per lei sono come fratelli e sorelle.

Yevheniya, emozionata anche lei, con un orgoglio patriotico enorme mi ha parlato del suo popolo, della loro storia travagliata; invece quando le avevo chiesto qualcosa della politica diventava dura; beh, si sa, la politica è sporca, i giochi politici non portano niente di buono. I suoi parenti sono lì in zona Ternopil, città di Zbarazh.

Oksana, tu quest’estate sei tornata nel tuo paese, sei della regione di Kolomyia che è a ovest. Hai ancora lì i tuoi genitori e fratelli. Cosa hai notato come prima cosa quando sei arrivata, com’è cambiata la vita? Avevi paura quando suonavano le sirene?

“Tristezza… tutto grigio, non ho trovato più lo spirito di una volta. Però la gente è molto corraggiosa, costruisce quel poco che è nelle loro forze pur sapendo che magari domani potrà essere tutto bombardato. Ho visto mamme con bimbi piccoli nel passeggino, che mentre suonavano le sirene emanavano un coraggio che non si può descrivere. Non ho mai avuto paura mentre ero lì, le sirene suonavano anche 3/4 volte al giorno.”

Cosa ne pensate di quelli che dicono di non dare più le armi all’Ucraina? Il popolo ucraino acceterebbe una pace forzata?

Oksana: “Da una parte capisco quelli che dicono così… ma dall’altra parte con un fiore non puoi vincere la guerra. Non auguro a nessun di vivere quello che viviamo noi, popolo ucraino. C’è gente che da un anno vive senza acqua, luce, gas, gente che vive negli scantinati da 8 mesi, non vedendo la luce del sole per giorni. Una pace forzata non può esistere, tutti quegli uomini, donne, bambini morti, la pace forzata e finta, no! La pace solo quando Putin sarà sconfitto!”

Yevheniya: “Mai una pace forzata, la guerra è terribile e ti dico che la Russia è inaffidabile perché tra un anno o due o dieci inizierà tutto dall’inizio. Ti dico una citazione “non vale nemmeno la carta dove loro mettono la firma”. Nel 1994 a Budapest si era firmato un memorandum dove la Russia avrebbe rispettato le frontiere e la sovranità dell’Ucraina. Abbiamo consegnato alla Russia tutte le nostre armi, perché sul territorio ucraino c’erano le centrali nucleari, pur di avere l’indipendenza e la nostra sovranità e guardaci ora: già dal 2014 questo memorandum è stato violato”.

Insieme a Yevheniya e Elio state organizzando, raccogliendo aiuti da mandare a questi tre orfanotrofi in Ucraina. Cosa mandate?

Oksana: “I bambini la prima volta che hanno ricevuto i nostri pacchi, ricordo avevamo mandato 9 pacchi, erano molto felici. I bambini pensavano che più nessuno pensasse a loro e che nessuno più gli volesse bene. Quando hanno visto i vestiti, giocattoli ci hanno detto che avevano gli occhi che brilavanno, non potevano credere che qualcuno si fosse ricordato di loro. In questi orfanotrofi sono ragazzi dai 6 a 14 anni rimasti orfani in questa guerra. Adesso stiamo cercando magari dei computer vecchi da sistemare e mandare lì. I bambini in queste strutture dipingono, è una specie di terapia per superare e dimenticare. Quando sono negli scantinati quando suonano le sirene, cantano così riescono a non pensare alla guerra che c’è sopra le loro teste. Cerchiamo di mandare vestiti, scarpe, dolci, prodotti di cancelleria, materiale per dipingere.”

Yevheniya: “Quando raccolgo i vestiti li lavo con cura, li stiro, voglio che arrivino a loro cose belle, si devono sentire amati. Ma poi lì non hanno tempo, ma neanche la possibilità, di lavare le cose; i vestiti che arrivano devono essere pronti all’uso. Lo faccio davvero con molto sentimento, sono molto attenta e ci metto molta cura perchè sono bambini.”

Come vive la gente nei territori dove è la linea rossa della guerra? Senza luce, acqua potabile, gas? Per esempio l’acqua da dove la prendono?

Yevheniya: ” L’acqua la prendono dai pozzi, se ci sono, adesso che è inverno sciolgono il ghiaccio, la neve. Poi ci sono anche volontari che portano l’acqua potabile. Per esempio a Bakhmut i volontari erano molto importanti ma ultimamente anche loro fanno fatica ad entrare in città. Per entrare in città hanno bisogno di un permesso speciale, perchè si combatte tanto e i militari ucraini, sapendo che ci sono in giro i volontari, hanno paura di colpire qualcuno. Invece con questi permessi speciali, sanno chi è entrato in città e chi è uscito o se manca qualcuno all’appello. Si fa tutto per la sicurezza delle persone, perchè i combattimenti sono strada per strada, condominio per condominio.”

Quando chiamate i vostri parenti in Ucraina, parlano del futuro?

Yevheniya: “No, oggi non si parla del futuro. Si parla del giorno di oggi se non hanno sparato o bombardato, perché non si sa domani cosa può succedere.”

Ascoltare queste due donne mi ha fatto pensare molto, non c’è rabbia nella loro voce solo tanto orgoglio patriottico e voglia di essere d’aiuto per quelli rimasti in Ucraina. Oksana poi mi ha fatto sentire un’intervista dal fronte di questo soldato, Alessandro, che viveva insieme alla sua famiglia qui in Italia, ma una volta scoppiata la guerra è tornato a proteggere la sua terra. Alessandro racconta che quando va casa per casa nelle città dove si combatte si scrive delle cose sulle mani, come un promemoria. Di cosa ha bisogno la gente: medicine, cibo o nomi di persone che stanno cercando. Mi ha colpito una frase di Alessandro e non la posso dimenticare: “Devo vivere perché domani devo portare cibo e medicine alle persone. Non posso morire…”

Oggi anche le donne ucraine hanno voglia di combattere, nelle città si stanno organizzando dei corsi per donne così anche loro possono proteggere la propria terra! Le donne ucraine che tanto hanno subito in questo anno terribile di guerra!

Oksana mi ha fatto vedere anche le candele artigianali che stanno preparando per mandare ai soldati sul fronte. Ne hanno già mandate più di mille. Per preparare queste candele usano scatolette di alluminio, cartone e cera.

Ho passato la mattina del 24 febbraio insieme a queste due donne che nel loro piccolo fanno tanto! La loro dignità ed il loro coraggio fanno capire perché l’Ucraina non si è arresa, perché nessuno può portarti via la tua terra e la tua casa, anche se quel qualcuno è più forte e più grosso. L’amore per la propria patria può sconfiggere qualsiasi mostro!

Se avete voglia di contribuire, anche con poche cose, come vestiti, giocattoli, pennarelli o qualsiasi altra cosa, Oksana e Yevheniya saranno felici di raccogliere tutto. Non lasciamo quei bambini nell’indifferenza, siamo umani e possiamo tutto, basta avere voglia e coraggio.

Tatiana

Il mondo diventerà mai un posto sicuro per una donna?(intervista)

Immagine dal web

Qualche settimana fa una mia amica mi mandò un messaggio dicendomi che è stata vittima di tentata aggressione sessuale. Ricordo che mentre leggevo il suo sms mi sentivo sotto shock. Al TG o sui giornali, purtroppo, quasi ogni giorno leggiamo notizie che raccontano delle violenze che subiscono le donne. Ma quando una persona che conosci viene aggredita su una strada che percorri anche te, allora tutto intorno ti sembra spaventoso.

Ho letto il suo sms un sacco di volte e volevo mandarle un messaggio di conforto ma non trovavo le parole giuste. Quale sono le parole giuste in questi casi? Come puoi tranquillizzare una persona che ha subito un trauma del genere?

Fin da bambina, ricordo che avevo un sentimento forte di ribellione verso il mondo maschilista. Anche se nella società in cui sono nata non esisteva una cultura, un’educazione della parità di genere, sempre nel mio piccolo ho condannato i pregiudizi verso il mondo della donna. Dei pregiudizi davvero idiota e medievali: “le donne non possono guidare perché guidare è solo da maschi” , “se qualcuno ti aggredita era colpa tua perché vuol dire che eri troppo provocante”, “una donna se sta seduta in un bar a bere qualcosa è una poco di buono”. Non parliamo poi come ho dovuto lottare negli anni dell’università contro dei professori maschilisti e pieni di strafottenza.

Perché noi donne dobbiamo sempre giustificare il nostro abbigliamento o corpo? Perché qualcuno si sente libero di fischiarci dietro o addirittura aggredirci?

Ho chiesto alla mia amica di lasciarmi una piccola intervista per il mio blog. Penso che anche in realtà piccole come questo blog si debba dare spazio a temi così importanti! Soprattutto oggi quando guardandoci intorno si ha la sensazione che il mondo vada tutto storto!

Cosa è per una donna subire un’agressione fisica, una tentata violenza sessuale?

– Credo che sia l’azione più brutta che una donna possa subire. Sapere che un uomo si possa prendere certe libertà per soddisfare una propria esigenza con egoismo. È una sconfitta per il mondo femminile!

Il giorno dopo l’aggressione cosa ti ripetevi o dicevi a te stessa?

-Mi dicevo perché a me? Mi domandavo se era successo veramente, la mente cercava una giustificazione. Mi domandavo se sarebbe successo lo stesso se non avessi indossato un vestito corto e tacchi…

Ti sentirai mai sicura per strada d’ora in poi? Che messaggio vuoi lasciare qui per i lettori del blog?

-No purtroppo! La mia vita ora sarà segnata per sempre da questo episodio. Sto già riscontrando ansie e pensieri quando nella quotidianità mi trovo a camminare da sola per strada! Vorrei dire di denunciare, di parlare e di non tenersi tutto dentro! Di circondarsi di persone care e soprattutto di non sentirsi in difetto!

Grazie alla mia amica per aversi confidata con me, grazie che ha trovato parole piene di coraggio per dare coraggio a tutte noi altre donne!

Mi piace pensare che leggendo questo articolo ogni lettore si possa fermare per pensare al mondo che lo circonda!

A tutte le Donne voglio dedicare la poesia di Alda Merini “Quelle come me”. Poesia che quando l’avevo letta un po’ di anni fa per la prima volta sembrava che appartenesse alla mia anima da tutta la vita.

“Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.

Quelle come me donano l’anima, perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.

Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio di cadere a loro volta.

Quelle come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.

Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano, tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.

Quelle come me quando amano, amano per sempre e quando smettono d’amare è solo perché piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.

Quelle come me inseguono un sogno quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero.

Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai, sono caduti nel dimenticatoio dell’anima. Quelle come me vorrebbero cambiare, ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.

Quelle come me urlano in silenzio, perché la loro voce non si confonda con le lacrime.

Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore, perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.

Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio, non riceveranno altro che briciole.

Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso, purtroppo, fondano la loro esistenza.

Quelle come me passano inosservate, ma sono le uniche che ti ameranno davvero.

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita, rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che tu non hai voluto…”

Tatiana

Momenti di Benedizione

Oggi vorrei parlarvi di un argomento molto speciale: l’iconografia. Quest’arte così unica e misteriosa è avvolta dalla preghiera, dalla meditazione e da un forte desiderio di sentire dentro di se una Benedizione. Nel 2016 ho parteciapato come spettatrice a un corso di iconografia, che si tiene tutti gli anni a Seriate nella villa Ambiveri. I corsi durano un paio di settimane, il corso è tenuto da docenti di massimo calibro. Infatti in questi anni ho avuto l’onore di conoscere due maestri russi di iconografia; ho potuto ammirare come riuscivano con le loro mani, con il pennello a dare vita a opere straordinarie. La prima cosa che ho imparato in quelle settimane è che un’icona non si pittura ma si scrive. C’è davvero qualcosa di speciale negli occhi di chi scrive un’icona?

Conosco Ornella, iconografa, da tanti anni; è grazie a lei che ho scoperto quest’arte meravigliosa. Spesso le faccio tante domande sull’iconografia ed è stata proprio lei a spingermi a partecipare in questi anni ad alcuni corsi di iconografia come spettatrice. Adesso sarà la seconda estate che i corsi saranno fermi (per il motivo che viviamo tutti in questi mesi), e sono sincera mi manca rivivere quelle emozioni. Entrare nell’aula e in silenzio osservare gli studenti (che sono persone di diverse età e origini, sia cattolici che ortodossi), fotografare le loro mani, ogni piccolo gesto che darà nascita a un’icona. Partecipare insieme alle messe con rito ortodosso che si tengono durante questi corsi al mattino. E poi la grande festa di fine corso, con una messa speciale e la benedizione di tutte le opere scritte durante il corso.

Icona “Gesù Maestro” scritta dall’iconografa Ornella.

Uno di questi giorni ho chiesto ad Ornella:

– Cos’è per te l’iconografia, come nasce l’ispirazione per scrivere un’icona?

L’iconografia riguarda la mia stessa vita, il mio cammino, il mio stile di vita; il mio strumento di preghiera. Piano piano l’ho scoperta come una chiamata. E’ il mio modo “privilegiato” di stare con il Signore. E’ una grazia del Signore, perchè mi permette di stare più vicino a lui, al suo cuore. Quando scrivo un’icona è il tempo del silenzio, della meditazione, del conforto, dello studio perchè prima di iniziare un’icona c’è tutto uno studio dietro. La scrittura di un’icona ha vari passaggi proprio come i passaggi della nostra vita; è per questo che non la posso identificare come qualcosa di staccato da me: fa perte della mia stessa vita. L’ispirazione nasce nel silenzio, rimando il mio cuore, la mia mente al lavoro che devo eseguire.

– Quanto è importante la preghiera nel processo di scrittura di un’icona?

La preghiera è fondamentale: è il primo passo. L’aiuto dello Spirito Santo si chiede con la preghiera; mentre dipingo mi sento guidata dallo Spirito Santo: sono uno strumento nelle sue mani. Senza preghiera non esisterebbe nemmeno un’icona: se non c’è la preghiera nell’icona, nessuno allora ci pregherà: diventa un oggetto vuoto. Tante vole mi accorgo che anche quando non dipingo sto comunque scrivendo un’icona perchè la mia tensione è tutta rivolta al lavoro che devo eseguire. Anche nei momenti in cui non ho in mano il pennello, attraverso la preghiera io dipingo. Finito il lavoro di scrittura dell’icona, dopo che è stata verniciata, l’icona viene consegnata alla Chiesa per la benedizione. Dopo la benedizione l’icona diventa un sacramentale, l’icona così viene collocata in una chiesa per la devozione dei fedeli oppure in una casa per la preghiera personale. Proprio per questo la preghiera è fondamentale nell’iconografia: è il filo conduttore. Per questo mi piace pensare che l’icona non è completata nel momento in cui la consegno, ma è completata quando qualcuno ci prega davanti.

Nel laboratorio dell’iconografa Ornella

Tatiana