Una donna e un regime…

Amo i libri di storia. Si trova sempre la verità in essi. Nei libri di storia si può trovare, per chi vuole, una cura per il presente, errori da non commetere e momerie/testimonianze da non dimenticare.

Il periodo che amo di più leggere, studiare è la storia contemporanea, cerco sempre di fare delle mie piccole ricerche e di giungere a delle le mie conclusioni.

Sono nata in un periodo non facile per il mio paese, ho vissuto i ultimi anni dell’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche)… un regime odioso, falso, criminale. Nella storia contemporanea il regime più studiato e condannato è il regime nazista, ma dovete sapere e si deve sapere che accanto a questo ne esisteva uno uguale e altrettanto pericoloso: il regime sovietico! Basato su delle ideologie malate e false, si voleva creare un ideale sovietico supremo: chi non sosteneva queste ideologie era considerato una minacia per il regime stalinista e veniva eliminato.

Forse non tutti sanno che anche il regime sovietico ha delle macchie vergognose e mostruose da far uscire alla luce del sole. Forse non tutti sanno che anche il regime sovietivo aveva messo in pratica piani di deportazioni in massa, tutto organizzato a livello di stato, tutto organizzato da Mosca. In Moldova (allora R.S.S.M. Repubblica Socialista Sovietica Moldava) le prime deportazioni sono state fatte a partire dai primi anni ’30 nella lontana Siberia, famiglie distrutte, un intero popolo massacrato. Lavaggi del cervello e storia del mio paese cancellata.

Il libro “Quanto vale un uomo” di Evfrosinija Kersnovskaja, moldava di origini polacche, è la testimonianza di una vita onesta distrutta da un regime a cui la parola “onesta” non andava bene. Il libro è un diario, delle memorie scritte da Evfrosinija quando è tornata dopo tantissimi anni dal Gulag staliniano in Siberia, dove è stata deportata perchè ritenuta un pericolo, un nemico per l’ideologia sovietica e quindi per il partito sovietico. Il motivo? Tutti coloro che avevano della terra di proprietà e la coltivavano con molto rispetto e onore venivano considerati dei ribelli e dei “chiaburi” (aristocratici, ricchi); nessuno poteva avere la propria terra. Le terre, i fiumi, i laghi, ogni albero e filo d’erba era del regime sovietico. Tutto apparteneva al regime nei cosidetti “Kolhoz” (proprietà agricole colletive, quindi del regime sovietico).

In queste pagine troviamo racconti e memorie di una donna forte nonostante il destino crudele: quel viaggio infinito nel treno del bestiame verso una meta sconosciuta, nonostante le umiliazioni, il dolore fisico, la fame, poi il lavoro durissimo nelle foreste, nelle miniere, lei, Evfrosinija ha saputo affrontare tutto con dignità. All’inizio è stata deportata nella regione di Novosibirsk poi nel lager di Noril’sk, situato oltre il Circolo Polare Artico. E’ stata sempre una grande lavoratrice, ed è proprio questo che l’ha salvata e le ha fatto rinconquistatre la libertà. Dopo 12 anni di lagher, di duro lavoro, umiliazioni, ingiustizie riuscì a riconquistare la sua libertà!

Questo libro è un’importante fonte storica, una testimonianza che tutti dovrebbero leggere e conoscere! Nei primi capitoli si trova una descrizione precisa della sua vita da contadina e dell’instauramento del regime sovietico, con tutte le sue bugie e ingiustizie.

Ho voluto dedicare questo mio articolo in questo giorno, 8 marzo, a lei: Evfrosinija, una donna forte che ha vinto contro un regime; si, perchè lei nel suo piccolo ha vinto! Ha resistito, è tornata, ha scritto, ha raccontato, ha testimoniato ed ha vinto!

Questo libro è stato tradotto in 25 lingue ed è stato dichiarato un monumento della cultura europea.

Quanto vale un uomo, una donna? …

Tatiana

Il pane dell’infanzia

Nella mia Confettura Di Parole non potevo non raccontarvi della tradizione della mia famiglia di come si cuoceva il pane in casa.

Il pane si preparava rigorosamente di sabato, tutta la giornata ruotava intorno a quell’evento che iniziava al mattino prestissimo verso le 4-5 e finiva nel tardo pomeriggio, quasi all’ora di cena.

Ogni famiglia aveva un forno in casa. I forni erano fatti con dei mattoni e argilla, erano lunghi 2 metri e larghi poco più di un metro. Il nostro forno si trovava in cucina. D’inverno la cucina diventava la mia stanza peferita: quando la mamma preparava il pane, faceva talmente caldo che si stava in maniche corte e la cucina odorava di lievito madre.

Era una giornata molto impegnativa, si lavorava tanto. Quando la mamma preparava l’impasto era sempre molto concentrata. Ci diceva di fare i bravi e di non farla arrabbiare con i nostri capricci, perchè il pane non doveva essere preparato con il cuore arrabbiato ma con un cuore sereno. Prima di lasciare riposare l’impasto diceva una preghiera e vi faceva sopra il segno della croce. Lo copriva bene, con due o tre coperte e aveva sempre cura che la porta e le finestre della stanza dove riposava l’impasto fossero sempre chiuse bene: non si dovevano creare spifferi o entrare dell’aria fredda.

Quando le forme con dentro l’impasto del pane venivano messe nel forno era un momento di massima concentrazione, tutto il mondo si fermava in quei movimenti lenti, la mamma diceva sempre la stessa frase: “Adesso deve lievitare e dorare bene”.

Poi la grande festa era quando il pane veniva tirato fuori dal forno! Gli occhi della mamma erano sempre contenti e le guance rosse; adesso che il pane era pronto poteva tirare un sospiro di sollievo. Da una infornata uscivano 10 pani, rotondi, profumati, dorati. In Moldova nelle canzoni e nelle poesie si dice che il viso della mamma assomigli al pane, ed è vero! La sua morbidezza e bontà si può paragonare solo ad una mamma!

Da piccola la mia merenda preferita era il pane con sopra la marmellata, di prugne, fatta in casa.

Al mattino, prima di andare a scuola, facevo il mio bel panino e poi lo arrotolavo in un pezzo di giornale. Se ci penso bene, solo ora mi rendo conto dell’importanza di quel gesto. Avvolgevo in quel pezzo di giornale un pezzo del cuore di mia mamma, di quel suo viso bello e morbido.

Tatiana.

Una fotografia… un luogo

Mi piace questa fotografia, non so spiegare il perchè… forse per il posto. Nel mio paese dove sono nata c’è il monastero di San Nicola (Sfintul Nicolae). Sono anni che stanno costruendo la chiesa (solo grazie alle offerte).

Il monastero si trova fuori paese, un po’ lontano, perso nei campi e colline. Mi piaceva quell’estate prendere la macchina e girare per i campi. Quando giro per quelle stradine non troppo larghe, piene di polvere devo sempre avere i vetri della macchina su, se no la polvere invade tutto e mi trovo con una nuvola di nebbia davanti agli occhi e l’interno della macchina coperto di un strato grigio di polvere antipatica. Sapete quale è il suono dei campi in estate? Nessun suono, ti senti un minuscolo punto in tutta quella terra fertile, in lontanaza vedi dei trattori che lavorano la terra e senti il loro eco. Ogni tanto senti la potenza del vento che muove gli alberi, il grano, i vigneti, i girasoli. Se guardi attentamente sembra che la natura si muove come delle onde del mare, ogni tanto qualche nuvola fa delle chiazze più scure per terra e si crea un gioco bizzaro tra il vento che riconcorre quell’ ombra.

Amavo fare la strada che portava al monastero, ogni tanto ci andavo per accendere una candela. Appena scendevo dalla macchina mi sentivo molto bene, come se la terra su cui avevo messo i miei piedi mi accarezzasse. All’ingresso ci sono dei cani, al guinzaglio, che ti abbaiano per metterti in guardia, ma fanno solo il loro dovere di proteggere il luogo.

Sembrava che anche l’aria era diversa, si respirava tranquillità. Ho incontrato qualche monaca, mi guardavano e mi sorridevano con gli occhi facendomi un cenno leggero con la testa come per dire: ” Benvenuta cara!”. Ho visto un crocefisso grande e dei fiori che facevano una corona per terra in torno a lui; pian piano che esploravo il luogo sentivo un profumo forte di latte, formaggio… ah già le monache hanno la loro piccola fattoria.

Ed ecco che mi sono trovata davanti una chiesa che è ancora un cantiere. Ho visto un ragazzo che portava dell’acqua fresca dal pozzo con due secchi. Dove avrà portato quell’acqua?

Mi piaceva quella scena, ho fatto delle fotografie, ho acceso qualche candela. Altre volte quell’estate sono tornata lì, mi sentivo accolta, la preghiera mi avvolgeva sempre e mi sentivo in pace.

Ci sono luoghi che ti entrano nel cuore, così ? Così semplicemente…

E tu amico lettore del mio blog, hai avuto mai la sensazione che un luogo ti appartenesse, dove ti sei sentito in pace con il mondo, dove la terrà l’hai sentita tua?

Alla prossima, Tatiana.

Benvenuti nel salotto della Confettura di Parole

Immagino un salotto dell’ottocento – uno di quelli che leggo spesso nei libri; con il camino acceso, una grande biblioteca alle mie spalle, un divano e delle poltrone di un tessuto pregiato ma consumato, un tappetto enorme ai miei piedi e su un tavolino di legno massiccio, una teiera lavorata con linee d’oro e le sue tazzine con dentro del thè inglese…

La confettura di parole, mi piace questo gioco di parole. Ognuno di noi nella sua dispensa dei pensieri ha queste confetture piene con qualcosa di detto o mai detto. Ci sono confetture che amiamo mettere sopra l’impasto per cucinare una buona crostata profumata in dono alle persone a cui teniamo di più; la famiglia, amici. La confettura che apriremo sarà piena di parole dolci, parole d’amore, carezze, di parole di conforto, risate, complicità.

Poi ci sono le confetture piene di passione, quelle che parlano di vita, o quelle utilizzate mentre eravamo arrabbiati. Le confetture piene di parole di fede o di pregiudizi, le confetture di saggezza, tristezza, dolore, ricordi o con dentro solo parole di felicità e allegria, ma anche poesie, passaggi letti nei libri, o una canzone che ci accompagna sempre!

Man mano che cresciamo facciamo scorta di queste confetture, facciamo tesoro da quello che impariamo lungo le strade della vita… penso spesso alle parole che uso, cerco sempre di stare attenta a come le utilizzo, perchè so che solo con una parola posso ferire qualcuno. Una volta avevo letto una frase di Alda Merini :” Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire”. Da allora è anche il mio slogan quotidiano. Ma quante volte ho sbagliato, ho buttato le parole per aria in preda a una ira o delusione, fa parte della vita. Nella mia dispensa ci sono oggi anche queste confetture di cui non ne vado fiera e non le aprirò mai.

Ma poi quanto è bello quando riceviamo un biglietto, una lettera, un messaggio con dentro parole che ci scaldano il cuore… bhe anche quella sarà una confettura da assaporare con cura.

Benvenuti a voi amici lettori del mio blog, qui sicuramente utilizzeremo tante parole, pensieri senza nessun pregiudizio.

Alla prossima tazza di thè insieme!

Tatiana