Due anni di guerra e giudizi.
Da quando è iniziata la guerra in Ucraina mi capita di sentire o leggere commenti che davvero mi fanno paura. Si, ho paura quando sento dire che non si devono più fornire armi o che si deve trovare la pace e dialogare per la pace, certo come se la pace si trovasse così facilmente per strada o da qualche altra parte. Ho paura quando la gente, o alcuni giornalisti, si mettono con il loro metro di giudizio e totalmente inesperti a misurare quali delle guerre che ci sono oggi nel mondo è più importante dell’altra. Questa è una cosa orribile! Come se un popolo ha più diritto di un altro a combattere per la propria libertà.
Nell’ultimo periodo in tanti sono diventati insofferenti verso la guerra in Ucraina, quando leggono o vedono i servizi alla TV cambiano canale o girano la pagina del giornale sbuffando: “ancora sta guerra”. Come se volessero a tutti i costi che tutto finisca al più presto possibile così vanno a dormire tranquilli: “oh bene dai nella vicina Ucraina non c’è più guerra, adesso posso farmi gli affari miei con la coscienza pulita”. Ho l’impressione che più la guerra è vicino a noi come territorio, chilometri più ci si chiude nel guscio “non voglio vedere, non voglio sentire, finitela al più presto”.
Voglio dire a quelli che gridano no alle armi, vi siete mai fermati e chiesti perché il popolo ucraino resiste ancora? Forse in questi due anni se lo avessero voluto avrebbero ceduto, no? Vi siete chiesti perché in questi due anni i soldati ucraini sono pronti a morire per la loro patria gridando “Gloria all’Ucraina!”?
Voi siete qui nelle vostre case, nei vostri letti, nei vostri bar a far aperitivi emettendo giudizi pensando di sapere tutto sull’argomento dopo aver letto un articolo chissà dove, o visto un video su Instagram. Beh, vi dico una cosa, magari è giusto se andate in biblioteca per documentarvi sulla storia, parlate con persone che vengono da quei paesi dove la Russia ha sputato per decenni, chiedete a loro perché non hanno voglia che la Russia torni a occupare e terrificare, perché fa così orrore questo pensiero. Cercate i blog dei giovani russi che coraggiosamente scrivono della tirannia del loro paese, guardate le interviste fatte per strada nelle città russe ai cittadini russi che per paura di non dire una parola sbagliata parlano della guerra con gli occhi, con lo sguardo pieno di lacrime. Informatevi con quale prezzo si paga in Russia la libertà della parola.
In questi due anni ne ho sentite davvero di tutti i colori e il cuore mi faceva e fa male. Perché nessuno di quelli che danno dei giudizi si è preso il disturbo di chiedersi semplicemente: “Perché resistono così tanto?”
Io so, io mi ricordo, io non dimentico ed io con orgoglio dico: Grazie Ucraina che ci stai salvando!
Tatiana
I miei stupidi intenti.
Era un po’ di tempo che cercavo una lettura che desse o mi aiutasse a dare un ragionamento logico agli avvenimenti umani. Le letture quelle leggere che fanno sorridere o viaggiare con la fantasia fanno bene, restituiscono tanta leggerezza però arriva un momento in qui si cerca qualcosa di importante. Si cerca tra i scaffali della biblioteca pagine con un certo peso, che facciano riflettere.
“I miei stupidi intenti” è davvero una boccata di ossigeno puro. Quello che all’inizio sembra una storia come tutte altre si trasformerà pagina dopo pagina in una ricerca del senso della vita. Pagina dopo pagina il lettore si affiancherà al personaggio principale alla ricerca di una spiegazione: chi è Dio? Fa paura la morte? È importante l’amore? Come possiamo lasciare una traccia, una eredità di noi stessi a questo mondo?
L’autore è stato geniale, ha creato una storia dove i personaggi sono tutti animali. Animali che dopotutto nella loro ingenuità e lotta per la sopravvivenza cercano “Un” qualcosa. Alla fine anche noi umani siamo animali addomesticati che non ci fermiamo mai, cerchiamo “Un” qualcosa che spieghi la nostra esistenza.
Il libro narra la vita di Archy che è una faina. Archy dai primi istanti della sua esistenza lotterà per sopravvivere – il mondo animale è così. Poi rimarrà zoppo e questo farà si che la sua famiglia si sbarazzassi presto di lui perché diventava un peso da mantenere. La mamma di Archy lo venderà al usuraio della foresta; volpe avara di nome Solomon, per una gallina e mezza.
La dura convivenza con la volpe fece capire a Archy che il mondo non è solo quello che riesce a vedere con gli occhi. Presto Solomon li farà scoprire che il mondo ha un Padre e che l’uomo crede in quel Padre chiamato Dio. La vecchia volpe conosceva le parole degli umani, sapeva leggere e scrivere. E custodiva con grade gelosia un tesoro: un libro dove era scritta la parola di Dio. Salomon insegnò poco a poco anche a Archy il valore del duro lavoro e poi la parola di Dio e spiegò al suo alunno che l’amore unico sta nel Padre del mondo e la morte e la solitudine fa parte del percorso.
Questo libro è una favola dal carattere spietato. Una parabola che cerca il senso della vita, della morte, dell’amore legato alla parola. Archy non è che tutti noi, con i nostri destini che cerchiamo di capire cosa può salvare il mondo. Il parallelismo creato dall’autore in questo libro è geniale; così come gli animali per sopravvivere si mangiano a vicenda, anche noi umani per dare ragione ai nostri folli desideri e avarizie iniziamo guerre e distruzioni. Un animale malato, zoppo o malconcio è destinato a essere messo da parte, mangiato o ucciso così anche un essere umano debole, con disabilità o diverso nei suoi modi di vedere il mondo viene deriso, messo da parte o addirittura emarginato.
L’uomo ha sempre cercato la sua salvezza, il suo conforto in un Dio, un Dio che promette il Paradiso dopo la morte. In questo romanzo la narrazione si fa ancora più intensa quando Archy si chiede se esiste una salvezza, un Paradiso anche per gli animali. Si chiede se l’amore, i sentimenti possono dare conforto e se la morte fa sentire soli, la paura della morte è la chiave principale di questo libro. Archy fino alla fine dei suoi giorni sarà alla ricerca della verità, del senso della sua esistenza come animale, come anche l’uomo che non si ferma mai; legge, scrive, fa ricerche, si innamora e si batte per scoprire il senso di tutto quello che lo circonda.
Vi consiglio la lettura di questo libro che a tratti sembra quasi ad avere tracce filosofiche ma con un linguaggio trascinante ma semplice che arriva dritto al cuore del lettore.
Dal libro: “Dio porterà la mia anima chissà dove, disperderà il mio corpo nella terra, ma i miei pensieri rimarranno qui, senza età, salvi dai giorni e dalle notti. Questo basta a darmi la pace, come il Paradiso per Solomon. Forse, come aveva scritto lui, davvero sono un uomo anch’io, e sarò salvato. Forse Dio mi ha reso un animale per mettermi alla prova.“
Tatiana
Mangia con il pane!
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Amare i libri non è per tutti.
Mentre ero al mare cercando di rilassarmi sotto l’ombrellone con un libro di Danielle Steel e i miei figli facevano finta di giocare insieme, ma in realtà si buttavano la sabbia addosso come se fossero al Carnevale con i coriandoli, pensavo che da un po’ qui sul blog non parlo dei libri.
In realtà non saprei descrivere bene la mia grande attrazione e rispetto verso i libri. Forse l’ho già detto e scritto in qualche mio articolo che ho un’ammirazione immensa verso le persone che hanno scritto un libro. Quel dono formidabile, quella benedizione divina che ti fa dare vita alle tue fantasie, ai tuoi pensieri, ai tuoi desideri. Tante volte mi capita di fermarmi durante la lettura e pensare “wow, come vorrei saper esprimermi così” o “cavolo, quanto ho ancora da imparare!”. Non capita anche a voi, davanti a un libro, di sentirvi coinvolti nella vita dei personaggi fino al punto di non voler lasciare il libro, di volerlo finire subito?
Ci sono delle letture che anche dopo anni sono rimaste nel mio cuore, soprattutto i personaggi. Ci sono ambientazioni che mi affascinano e mi colpiscono fino alle lacrime. Poi ci sono storie di vita, amori, drammi che lasciano il segno. Ci sono pensieri, frasi e dialoghi che racchiudono letteralmente dei mondi.
Mi sono sempre piaciuti di più i libri rispetto ai film. Leggendo mi creo un mio mondo, le parole mi trasportano in un’immaginazione infinita che nei film si perde, perché magari trovi un attore che detesti o un’ambientazione inadatta. Ogni tanto rifugiarsi in una lettura è meglio di qualsiasi realtà fisica.
Nei giorni scorsi è stato assegnato il “Premio Strega”, un prestigioso evento letterario che premia gli autori italiani. Quest’anno ha vinto il libro “Come D’aria” di Ada D’Adamo. Per assegnare questo premio c’è una giuria che dopo aver letto i libri in gara e dopo varie valutazioni proclama il vincitore. Alla serata di premiazione era presente il nostro ministro della cultura G. Sangiuliano, che faceva parte della giuria. Nel suo intervento, dopo aver detto delle frasi fatte e scontate, dice che leggerà i libri che hanno gareggiato… Aiutooooo, ma non avrebbe dovuto leggerli prima, visto che faceva parte della giuria o ha votato in base alla copertina più bella?! La faccia di Geppi Cucciari, che lo stava intervistando, dopo aver sentito le parole del ministro era davvero sconvolgente, come anche la mia dopo aver visto il video che si trova tranquillamente su internet. Anzi io avevo anche detto “che figura di m…” e non escludo che anche Geppi l’avesse pensata così.
Vi ho raccontato di questo episodio per farvi capire che amare i libri non è per tutti. I libri non si scelgono in base all’appartenenza o al ruolo che sia ha. L’attrazione per la lettura viene da dentro, da dove inizia l’anima. Non condanno chi non ama leggere, ognuno nella sua vita sceglie le sue strade, ognuno da priorità e importanza a quello che ritiene giusto per se, e questo è da rispettare assolutamente! Però se si fa parte di una giuria per assegnare un premio letterario, il fatto di leggere i libri in gara direi che è fondamentale, la pigrizia, sei o non sei un ministro, la devi sconfiggere!
Mi piace concludere questo mio articolo con la frase di T. D’Auria “Ho conosciuto il nulla nelle grandi cose, ma ho trovato l’immenso nelle piccole cose.”
Vi lascio alcuni titoli delle mie ultime letture. Sul mio profilo instagram trovate tutti i libri che leggo con le respettive recensioni e pareri personali.
“La casa dei bambini dimenticati” di Owen Matthews.
“Un giorno d’estate” di Shari Low.
“Sangue freddo” di Robert Bryndza.
“Fino alla fine dei giorni” di Danielle Steel.
“Il gioco della vita” di Danielle Steel.
Tatiana
Lo sport che educa. (intervista)
L’ultimo articolo che ho pubblicato parlava della fede nei cuori dei ragazzi di oggi, se esiste, se i ragazzi trovano rifugio in essa.
Forse il mio cuore di genitore e la mia curiosità da persona cresciuta in anni molto diversi da quelli di adesso, mi spingono a farmi sempre delle domande ed ho scoperto con grandissimo piacere che articoli del genere piacciono anche a voi. E’ proprio vero, la semplicità non passa mai di moda.
Oggi voglio scrivere dello sport. Lo sport che educa, che unisce, fa gioire e battere forte le emozioni! Cosa è lo sport oggi per un/a ragazzo/a? E’ passato di moda o è ancora la colonna stabile di una generazione? Per capire meglio e avere un’opinione da un esperto in materia ho chiesto aiuto a Gian Luca Marini, allenatore e responsabile del settore Minibasket della Pallacanestro Brescia.
Ho incontrato Gian Luca nella palestra Verrocchio a Brescia. I ragazzi della squadra Esordienti avevano appena finito di fare il loro allenamento. La palestra era piena di entusiasmo e risate dei ragazzi, si sentivano i loro canti negli spogliatoi e gli scherzi che si facevano a vicenda.
Che ruolo ha nella vita di un ragazzo lo sport, nella sua crescita? Lo sport può salvare?
“Gli sport di squadra permettono a un bambino o ragazzino/a di riuscire a condividere dei momenti insieme, ma anche di avere un confronto non solo con se stesso ma anche rapportarsi con gli altri! Lo sport è fondamentale, soprattutto nell’adolescenza e salva assolutamente! Ci sono varie situazioni che un ragazzo/a può vivere come: un problema in famiglia, la solitudine o situazioni di bullismo e far parte di una squadra sicuramente lo aiuta e lo fa sentire parte di un gruppo, gli da amicizie su cui poter contare!”
I ragazzi di oggi sono diversi dai ragazzi di qualche anno fa?
“I ragazzi di oggi sono molto più svegli per quanto riguarda il digitale, i social. Anche fisicamente, di costituzione i ragazzi di oggi sono più alti di come eravamo noi ai tempi alla loro età però dal punto di vista motorio sono più indietro, hanno poco equilibrio, alcuni proprio non sono capaci di correre e sicuramente una buona parte della colpa sta proprio nel telefonino/social. Lo sport, io tiro acqua al mio mulino, la pallacanestro aiuta anche dal punto di vista cognitivo: riesce a conciliare l’aspetto cognitivo a quello fisico”.
Il basket qui in Italia è sottovalutato secondo te?
“Dal punto di vista mediatico, si. Secondo me è sottovalutato da chi non lo conosce bene, perché dicono: tanto giocano solo quelli alti, o giocano solo i maschi. E’ falso, perché prima di tutto possono giocare tutti e le ragazzine tranquillamente fino agli under 14 possono giocare in squadra insieme ai maschi. C’è da evidenziare una cosa molto importante: sono stati fatti cambiamenti nel minibasket che poi sono stati copiati anche dagli altri sport, perché il minibasket (che è stato strutturato da Maurizio Cremonini) negli ultimi anni fa sì che i bambini ragionino molto mentre fanno basket. E’ stato proprio studiato che nelle proposte educative/esercizi del minibasket i bambini debbano risolvere dei problemi per arrivare a un qualcosa, per esempio arrivare al canestro o a un passaggio e lì il bambino per forza deve ragionare”.
Il basket è vissuto dai ragazzini un po’ come “il grande sogno americano”. Ovviamente tutti hanno come idolo Michael Jordan o LeBron James. Qui sul territorio bresciano la realtà del basket com’è?
“Con il fatto di avere la Pallacanestro Brescia in seria A1 il movimento bresciano ne ha giovato. Per i bambini, ragazzi avere una squadra della seria A1 e seguirli, poter vedere le partite in casa, poter tifare, poter avere degli idoli qui è davvero uno stimolo enorme. I numeri del minibasket sono tornati e sono aumentati rispetto al pre-pandemia, ciò vuol dire che stanno investendo bene e sicuramente la prima squadra (la Pallacanestro Brescia) fa la differenza: la società è brava a coinvolgere i propri giocatori con varie iniziative sul territorio ed a farsi pubblicità”.
Allora la società Pallacanestro Brescia crede nella continuità?
“Assolutamente si! L’obiettivo numero 1 è non perdere nessuno, dal Minibasket agli under 19. La Pallacanestro Brescia ha creato il progetto “Academy”, dove chi non viene preso a far parte delle squadre del settore giovanile della Pallacanestro Brescia viene dirottato verso Società dell’Academy più comode per le famiglie o più comode per gli orari, o per vicinanza; perciò nessuno ragazzino/a viene lasciato solo.”
Parlando con Gian Luca ho capito che fare sport non è banale, lo sport aiuta, lo sport unisce ed educa. Soprattutto se c’è un allenatore che riesce a far diventare la fiducia nello sport ancora più sana e solida. Gian Luca per i suoi ragazzi prima di tutto vuole essere un educatore; educare a rapportarsi con i propri compagni di squadra, con gli avversari, con gli arbitri; educare a stare in campo. Perché, alla fine, quando si educa ad avere rispetto per quello che ti circonda si ha un sano modo di vivere.
Tatiana
La fede nel cuore dei ragazzi (intervista).
La fede ha sempre nella vita di ognuno di noi un ruolo importante. Ognuno di noi crede in qualcosa/qualcuno che può donare sollievo al proprio dolore e alla propria anima. Cerchiamo e abbiamo bisogno di non sentirci soli e abbandonati, abbiamo bisogno di pregare e di credere che Qualcuno ci sta ascoltando, abbiamo sempre bisogno di speranza. Ogni essere umano almeno una volta nella sua vita si è posto una domanda legata alla fede. Ultimamente però, vedendo i miei bimbi crescere, mi sono chiesta che ruolo può avere la fede nel cuoricino di un/a ragazzo/a? Come può la fede aiutare ed arricchire il cammino di un fanciullo? Ho cercato risposte alle mie domande da Massimo Bertelli, sagrista e responsabile dei chierichetti della nostra Parrocchia di Ospitaletto. Lui, dal 1998, è il responsabile dei chierichetti e ne ha visti di ragazzi passare e crescere nelle tuniche nere e nelle cotte bianche. Oggi nella Parrocchia di Ospitaletto ci sono 25 chierichetti tra gli 8 ed i 22 anni. Chi meglio di lui può darmi la risposta alla mia curiosa domanda: cosa è la fede per un/a ragazzo/a?
Ho incontrato Massimo davanti a un caffè, in un bar storico di Ospitaletto.
In questi anni hai accolto e hai visto crescere un sacco di ragazzi/chierichetti. Come sei riuscito e riesci tutt’ora a trovare un linguaggio che arrivi dritto a loro, come riesci a coinvolgerli?
“Ho sempre pensato che la cosa fondamentale per i ragazzi è che devono essere contenti di venire a servire la messa. Cerco sempre di far trovare ai ragazzi un ambiente sereno, allegro ma in cui trovano anche delle regole chiare; cosa e come devono fare, questo dà a loro sicurezza, ma anche la possibilità di trovare amici.”
C’è una differenza tra i ragazzi di oggi ed i ragazzi di ieri, quelli di 10/15 anni fa?
“C’è una grande differenza. Rispetto ai ragazzi di anni fa, quelli di oggi hanno una minore capacità di avere pazienza, di dedicare tempo. Soprattutto dopo la pandemia, che ha dato un brutto colpo al modo di vivere dei ragazzi. Fanno fatica a restare concentrati, ad avere tempo di stare fermi per pensare; devono avere qualcosa da fare e questo è brutto perché perdono di vista l’importanza di stare da soli con se stessi. E’ vero però che, per fortuna, le amicizie quelle vere, le relazioni fisiche non hanno perso terreno, almeno qui nel nostro paese; qui vedo che c’è ancora voglia di trovarsi, di uscire, di andare a giocare. Comunque i ragazzi vengono sempre volentieri alle riunioni e questo non è poco, nonostante sappiano che magari non giocheranno, ma avranno una noiosa lezione, perché amano stare insieme.”
Un bimbo/ragazzo che inizia a fare il chierichetto sa già bene cosa è Dio, cosa è la fede? Oppure piano piano lo impara e lo scopre nel suo cammino da chierichetto?
“L’importante è che ci sia dietro anche la famiglia, la fiducia della famiglia negli educatori, così si può costruire un cammino di fede. La famiglia è fondamentale, bisogna capire che noi non facciamo catechismo non è il nostro compito, cerchiamo di insegnare qualcosa attraverso la liturgia.”
Allora secondo te, per un ragazzo, per un giovane cosa è Dio? In questi anni ne hai visti, ascoltati, supportati di ragazzi, cosa hai capito?
“Poter dare una definizione è difficile, quello che ho capito in questi anni è che i ragazzi trovano un qualcosa, un senso nel loro servizio e quel qualcosa potrebbe essere Dio per loro. Approfondire è difficile perché hanno età diverse, però ho osservato che i ragazzi sentono che fanno qualcosa per Qualcuno che gli vuole bene.”
Oggi che è tutto troppo moderno nel cuore di un ragazzo/a, a parte i chierichetti, c’è spazio per Dio? Quanto può essere importante avere un punto di riferimento, un Dio, qualunque esso sia?
“Nel cuore di un/a ragazzo/a c’è spazio per Dio, basta solo volerlo. Perché Dio il suo spazio lo trova sempre, Lui è sempre a disposizione. Il problema di oggi, secondo me, è che ai ragazzi manca la possibilità di progettare un futuro a lungo termine, perché c’è una grande incertezza. Questa incertezza può favorire il ricorso alla possibilità di pensare che c’è qualcuno che ti guida, che c’è qualcuno che ti vuole bene, oppure il contrario invece che questa grande incertezza da talmente tanta preoccupazione che Dio viene lasciato da parte. Questo dipende dalla sensibilità di ognuno. Avere un punto di riferimento è molto importante perché vuol dire dare direzione al tuo pianeta, per noi il punto riferimento è Gesù. Diciamo sempre ai nostri ragazzi che la Quaresima serve a capire a che punto si è giunti nel proprio rapporto con Dio, che posto ha Dio nella propria vita e la Pasqua è il complimento di questo cammino. Avere un punto di riferimento per tutti è fondamentale: aiuta a non perdersi! Magari alcuni non lo chiamano Dio ma comunque considerano o sanno che c’è qualcosa di più, poi un giorno scopriranno che è Dio! L’importante è che il punto di riferimento non siamo solo noi, che mettiamo noi stessi come nostro Dio; questo è pericoloso perché vuol dire che gli altri non ci sono, dobbiamo capire che non camminiamo da soli.“
Ti faccio una domanda un po’ difficile: come spieghi la Pasqua ai tuoi ragazzi?
“Ho capito che i ragazzi fanno fatica a comprendere anche solo il significato della Quaresima, che è il periodo che prepara la Pasqua. Per esempio l’atmosfera natalizia si vive più intensamente, la si trova ovunque, perfino alla TV; l’atmosfera della Quaresima invece non è così intensa, quasi non esiste. Sentono la Pasqua perché sanno che è importante, che è gioiosa e ci tengono anche. La liturgia pasquale è ricca di segni anche molto semplici e profondi, quello in cui hanno maggiore difficoltà è il venerdì Santo, cioè il momento della passione. E’ una liturgia un po’ complessa in cui loro non devono fare nulla, devono solo stare in ascolto, per loro stare in ascolto in silenzio è molto difficile. Lo fanno, però faticano a capirne il senso, certo lo si spiega che è il momento in cui Gesù da la vita per noi, ma senza segni fisici, come per esempio il giovedì santo quando c’è la lavanda dei piedi e la processione: ecco, questi segni loro già li capiscono meglio.“
Ho chiesto a Massimo se i suoi studi sono legati alla teologia, mi ha risposto di no, ha studiato tutt’altro, tecnico dell’industria elettrica. Le sue conoscenze si sono accumulate lungo il suo cammino da sagrista e capo chierichetti. Non potevo che ammirare e rispettare il suo grande amore ed entusiasmo nel parlare della fede. Sono rimasta affascinata dalle risposte semplici ma allo stesso tempo profonde che mi dava, ma mi capita sempre di rimanere affascinata dalle persone che hanno la testa e il cuore pieni di informazioni, cultura e buon senso. C’è sempre da imparare quando si sa ascoltare con attenzione!
Certamente il mistero della fede non ha abbandonato i miei pensieri, continuerò ad osservare, imparare ed ascoltare. Sono ancora affascinata da quei ragazzi che scelgono di fare il cammino da chierichetto perché secondo me alla fine è una chiamata misteriosa e personale. Continuerò a farmi mille domande, ma per ora tengo a mente quello che mi ha detto Massimo e spero che il messaggio della Santa Pasqua sia più sereno ed accolto nei cuori di tutti quelli che leggeranno questo articolo!
Tatiana
“Oggi non si parla del futuro. Si parla del giorno di oggi se non hanno sparato, bombardato perché non si sa domani cosa può succedere.” (intervista)
È passato un anno giusto da quando è inizita la guerra in Ucraina. Pensavo e ripensavo a come potevo dare il mio contributo per ricordare questa data. È un argomento che mi sta molto a cuore, l’Ucraina è la vicina di casa della Moldova, il mio paese, e un amico non si lascia mai in difficoltà. In questa intervista voglio dare spazio alla voce delle persone ucraine.
Conosco da più di un anno Oksana, una ragazza che viene dall’Ucraina. È nata subito tra di noi una bella amicizia, ricordo la mattina del 24 febbraio, quando è iniziata la guerra, ci siamo incontrate davanti all’asilo dei nostri bambini e ci siamo strette in un abbraccio.
Oksana dal primo giorno dall’inizio della guerra si è data da fare mandando nel suo paese aiuti umanitari di qualsiassi genere. Oggi è ancora attiva, nel suo piccolo si è presa l’incarico di aiutare 3 orfanotrofi, che si trovano sul suolo ucraino. Prepara con cura dei pacchi per quei bambini lontani dal mondo intero. Insieme a Oksana c’è Yevheniya, un’altra sua compaesana e il suo compagno Elio. Nella mattina in cui sono andata a trovarli per un’intervista erano indaffarati a sistemare delle calzine da bambino, avevano più di due sacchi enormi da smistare. Elio con tanta pazienza e attenzione faceva il suo lavoro, Oksana e Yevheniya si sono sedute vicino a me ed abbiamo cominciato a chiacchierare.
A Oksana, quando nominavo la parola Ucraina le si riempivano gli occhi di lacrime, ma la forza e l’energia che depone in quello che fa è davvero invidiabile. È un anno che si occupa di raccolte umanitarie, non si ferma mai. Ha tanta energia e forza, mi ha detto che ora quelli che sono rimasti lì a combattere, per lei sono come fratelli e sorelle.
Yevheniya, emozionata anche lei, con un orgoglio patriotico enorme mi ha parlato del suo popolo, della loro storia travagliata; invece quando le avevo chiesto qualcosa della politica diventava dura; beh, si sa, la politica è sporca, i giochi politici non portano niente di buono. I suoi parenti sono lì in zona Ternopil, città di Zbarazh.
Oksana, tu quest’estate sei tornata nel tuo paese, sei della regione di Kolomyia che è a ovest. Hai ancora lì i tuoi genitori e fratelli. Cosa hai notato come prima cosa quando sei arrivata, com’è cambiata la vita? Avevi paura quando suonavano le sirene?
“Tristezza… tutto grigio, non ho trovato più lo spirito di una volta. Però la gente è molto corraggiosa, costruisce quel poco che è nelle loro forze pur sapendo che magari domani potrà essere tutto bombardato. Ho visto mamme con bimbi piccoli nel passeggino, che mentre suonavano le sirene emanavano un coraggio che non si può descrivere. Non ho mai avuto paura mentre ero lì, le sirene suonavano anche 3/4 volte al giorno.”
Cosa ne pensate di quelli che dicono di non dare più le armi all’Ucraina? Il popolo ucraino acceterebbe una pace forzata?
Oksana: “Da una parte capisco quelli che dicono così… ma dall’altra parte con un fiore non puoi vincere la guerra. Non auguro a nessun di vivere quello che viviamo noi, popolo ucraino. C’è gente che da un anno vive senza acqua, luce, gas, gente che vive negli scantinati da 8 mesi, non vedendo la luce del sole per giorni. Una pace forzata non può esistere, tutti quegli uomini, donne, bambini morti, la pace forzata e finta, no! La pace solo quando Putin sarà sconfitto!”
Yevheniya: “Mai una pace forzata, la guerra è terribile e ti dico che la Russia è inaffidabile perché tra un anno o due o dieci inizierà tutto dall’inizio. Ti dico una citazione “non vale nemmeno la carta dove loro mettono la firma”. Nel 1994 a Budapest si era firmato un memorandum dove la Russia avrebbe rispettato le frontiere e la sovranità dell’Ucraina. Abbiamo consegnato alla Russia tutte le nostre armi, perché sul territorio ucraino c’erano le centrali nucleari, pur di avere l’indipendenza e la nostra sovranità e guardaci ora: già dal 2014 questo memorandum è stato violato”.
Insieme a Yevheniya e Elio state organizzando, raccogliendo aiuti da mandare a questi tre orfanotrofi in Ucraina. Cosa mandate?
Oksana: “I bambini la prima volta che hanno ricevuto i nostri pacchi, ricordo avevamo mandato 9 pacchi, erano molto felici. I bambini pensavano che più nessuno pensasse a loro e che nessuno più gli volesse bene. Quando hanno visto i vestiti, giocattoli ci hanno detto che avevano gli occhi che brilavanno, non potevano credere che qualcuno si fosse ricordato di loro. In questi orfanotrofi sono ragazzi dai 6 a 14 anni rimasti orfani in questa guerra. Adesso stiamo cercando magari dei computer vecchi da sistemare e mandare lì. I bambini in queste strutture dipingono, è una specie di terapia per superare e dimenticare. Quando sono negli scantinati quando suonano le sirene, cantano così riescono a non pensare alla guerra che c’è sopra le loro teste. Cerchiamo di mandare vestiti, scarpe, dolci, prodotti di cancelleria, materiale per dipingere.”
Yevheniya: “Quando raccolgo i vestiti li lavo con cura, li stiro, voglio che arrivino a loro cose belle, si devono sentire amati. Ma poi lì non hanno tempo, ma neanche la possibilità, di lavare le cose; i vestiti che arrivano devono essere pronti all’uso. Lo faccio davvero con molto sentimento, sono molto attenta e ci metto molta cura perchè sono bambini.”
Come vive la gente nei territori dove è la linea rossa della guerra? Senza luce, acqua potabile, gas? Per esempio l’acqua da dove la prendono?
Yevheniya: ” L’acqua la prendono dai pozzi, se ci sono, adesso che è inverno sciolgono il ghiaccio, la neve. Poi ci sono anche volontari che portano l’acqua potabile. Per esempio a Bakhmut i volontari erano molto importanti ma ultimamente anche loro fanno fatica ad entrare in città. Per entrare in città hanno bisogno di un permesso speciale, perchè si combatte tanto e i militari ucraini, sapendo che ci sono in giro i volontari, hanno paura di colpire qualcuno. Invece con questi permessi speciali, sanno chi è entrato in città e chi è uscito o se manca qualcuno all’appello. Si fa tutto per la sicurezza delle persone, perchè i combattimenti sono strada per strada, condominio per condominio.”
Quando chiamate i vostri parenti in Ucraina, parlano del futuro?
Yevheniya: “No, oggi non si parla del futuro. Si parla del giorno di oggi se non hanno sparato o bombardato, perché non si sa domani cosa può succedere.”
Ascoltare queste due donne mi ha fatto pensare molto, non c’è rabbia nella loro voce solo tanto orgoglio patriottico e voglia di essere d’aiuto per quelli rimasti in Ucraina. Oksana poi mi ha fatto sentire un’intervista dal fronte di questo soldato, Alessandro, che viveva insieme alla sua famiglia qui in Italia, ma una volta scoppiata la guerra è tornato a proteggere la sua terra. Alessandro racconta che quando va casa per casa nelle città dove si combatte si scrive delle cose sulle mani, come un promemoria. Di cosa ha bisogno la gente: medicine, cibo o nomi di persone che stanno cercando. Mi ha colpito una frase di Alessandro e non la posso dimenticare: “Devo vivere perché domani devo portare cibo e medicine alle persone. Non posso morire…”
Oggi anche le donne ucraine hanno voglia di combattere, nelle città si stanno organizzando dei corsi per donne così anche loro possono proteggere la propria terra! Le donne ucraine che tanto hanno subito in questo anno terribile di guerra!
Oksana mi ha fatto vedere anche le candele artigianali che stanno preparando per mandare ai soldati sul fronte. Ne hanno già mandate più di mille. Per preparare queste candele usano scatolette di alluminio, cartone e cera.
Ho passato la mattina del 24 febbraio insieme a queste due donne che nel loro piccolo fanno tanto! La loro dignità ed il loro coraggio fanno capire perché l’Ucraina non si è arresa, perché nessuno può portarti via la tua terra e la tua casa, anche se quel qualcuno è più forte e più grosso. L’amore per la propria patria può sconfiggere qualsiasi mostro!
Se avete voglia di contribuire, anche con poche cose, come vestiti, giocattoli, pennarelli o qualsiasi altra cosa, Oksana e Yevheniya saranno felici di raccogliere tutto. Non lasciamo quei bambini nell’indifferenza, siamo umani e possiamo tutto, basta avere voglia e coraggio.
Tatiana
La monarchia non è più un segreto.
Cari lettori non potevo non parlare sul mio blog del libro più discusso delle ultime settimane. Non potevo passare davanti alla libreria facendo finta che non mi interessa e non mi incuriosisce. Dai, siamo sinceri. Da sempre l’argomento monarchia, ricchi e l’irraggiungibile ci hanno incuriosito tanto. Basta vedere una foto su un giornale o da qualche parte sul web che la curiosità ci trascina a comperare quel giornale o a cliccare sul articolo online per farci un po’ gli affari dei reali. In effetti da sempre siamo incuriositi dai monarchi, basta vedere quanti libri e film ci sono su questo argomento ma oggi vista l’epoca dei social abbiamo tutti ogni notizia in tempo reale a portata di mano. Sarà un bene?
Dunque sono entrata in libreria e sono riuscita ad acquistare l’ultima copia del libro della settimana scorsa, fortunata.
Sono stata sempre nel mio piccolo dalla parte di Harry. Forse il dramma della perdita della madre a soli 12 anni mi ha fatto sempre provare quella tenerezza in più per lui. Ma anche quando combinava qualcosa e finiva sempre sui giornali o quando ha sposato Meghan e tutti i giornali il giorno dopo gli davano per divorziati mi sono chiesta: ma davvero no ne combina una giusta questo principe o quello che si scrive su di lui è solo business da parte dei giornali per vendere più copie?!
Ho letto ogni pagina con molta curiosità e attenzione. Non ho mai trovato in tutto il libro nessuna parola offensiva verso la sua famiglia. Harry parla sempre con molto affetto e amore di suo papà, fratello, nonna. Anche se il dolore che accompagna ogni ricordo di quello che ha vissuto, il rispetto verso i suoi familiari si percepisce in ogni riga.
Mi ha colpito il fatto che lui fino all’età di 30 anni ha sempre vissuto con la speranza che sua mamma fosse ancora viva. Nella prima parte del libro, si legge di un dolore troppo pesante per un essere umano. Harry viveva con la convinzione che lei fosse viva, che prima o poi sarebbe uscita allo scoperto, che prima o poi si avrebbero riabbracciati ancora.
Dal libro:”Spesso, appena sveglio, dicevo a me stesso:magari questo è il giorno… magari riaprirà stamattina… oggi pomeriggio. Magari, finalmente, oggi uscirà allo scoperto, organizzerà una conferenza stampa e sconvolgerà tutti…”
Ogni istante di quello che ha vissuto nella sua vita, Harry lo collega alla sua mamma e alla morte della sua mamma. L’impotenza di combattere contro la stampa e l’odio verso quei paparazzi che hanno inseguito e ucciso la sua mamma.
Harry per tutta adolescenza ha viaggiato molto. Ha sempre cercato sua mamma – il suo spirito nei posti più lontani: nella calda e meravigliosa Africa, nel lontano Polo Nord, nello freddissimo Polo Sud, in Australia e perfino nei campi di battaglia dell’Afghanistan.
La seconda parte del libro, Harry lo dedica ai suoi momenti trascorsi sul fronte. Nei ultimi giorni alla TV o sui social si è parlato molto di questo libro. Mi sono resa conto quanto ancora una volta sono meschini, superficiali i giornalisti. Se almeno uno di loro avrebbe per davvero letto questo libro non troveremo in tutti gli articoli la stessa cosa “copia incolla”, le stesse critiche.
La battaglia contro i paparazzi si è trasformato per lui in una guerra a vita.
Dal libro:”…ciò che non riusciavo davvero a sopportare era il rumore dello scatto. Quel clic terribile da sopra la mi spalla… i paparazzi erano sempre stati gente grottesca…”
“Per loro la mia esistenza era solo divertimento e giochi, non ero un essere umano, ma un personaggio da cartone animato che si poteva manipolare e prendere in giro tanto per divertirsi… Tutto era giustificato perché ero un membro della famiglia reale e, nella loro testa, reale era significato di non persona…”
Se qualche giornalista avrebbe per davvero letto il libro avrebbe capito che questo non è nient’altro che una denuncia contro i paparazzi, stampa. Forse anche la società ha dettato le regole e le preferenze: leggiamo, ascoltiamo, acquistiamo solo se c’è qualche scandalo! Negli ultimi anni si parla spesso (e meno male) di bullismo. Ma il bullismo che viene proprio da quelli che si ritengono i paladini della scrittura, i giornalisti non viene mai messo in discussione. In generale se ci pensiamo al giorno d’oggi sul web gli articoli spesso sono pieni di errori, bugie, paroloni. E nessuno pensa che effetto crea questa negatività per la società. Ma forse è proprio la società che si aspetta sempre notizie sconvolgenti (di qualsiasi tema tratti) di aver permesso e di aver dato via libera ai paladini della scrittura di non farsi un esame di coscienza. Mi sono accorta che i scandali, le notizie negative sono più lette e cercate invece delle notizie belle e felici.
Niente, mi sono persa un po’ in un pensiero che mi è venuto dopo aver finito di leggere il libro.
In tanti hanno criticato la scelta del principe di scrivere un libro e poi andare proprio dai giornalisti a promuoverlo. Ma se si legge il libro lo si capisce perché di questa scelta. Semplicemente dopo tante battaglie contro i paparazzi e i giornalisti lui ha capito che deve combattere proprio su territorio nemico per far conoscere al mondo intero cosa ha vissuto e sta vivendo tuttora. E credo che ha fatto bene!
Se per caso siete stati influenzati da quei articoli che vi dicevano di non leggere il libro, spero che la mia recensione vi abbia fatto cambiare idea. Questo libro racconta del grande amore che un figlio ha verso sua mamma, del dolore profondo che prova nel perderla. Racconta di un figlio che ama il suo padre incapace di dare un abbraccio e di un fratello maggiore troppo abbagliato dal ruolo dell’erede, racconta che se sei nato con il ruolo di riserva ti tratteranno proprio così sempre. Il libro fa scoprire che sul campo di battaglia si trovano dei veri amici che non dimenticherai mai, che quando si trova il vero amore lotterai per esso senza esitazione. Questo libro insegna che in ogni famiglia esistono dolori, amori e parole mai dette anche se questa famiglia è la più famosa in tutto il mondo.
Stavo pensando, e se qualcun altro della famiglia reale avesse scritto un libro avrebbe suscitato lo stesso interesse? Della loro vita reale perfetta, sorrisi immacolati, bambini ubbidienti, capelli sempre in ordine e mai una parola fuori posto. Bhe scontato e noioso non vi pare?
E soprattutto quando leggiamo un articolo cerchiamo sempre di non dimenticare che quel articolo è scritto per vendere più copie!
Dal libro:”…dicono che le mani di mamma fossero incrociate sul petto e stringessero una foto di Willy e me, forse gli unici due uomini che l’avessero davvero amata… per tutta l’eternità noi le sorrideremo nel buio…” “Dalla scomparsa di mamma, la mia memoria è stata frammentaria per scelta, e non volevo ricostruirla perché ricordare significava dolore… dimenticare era un balsamo.”
Tatiana
Il potere delle parole.
Succede a volte che le parole girano per la mente, nell’anima, per tutto il corpo come se fossero delle api stordite in fuga. Le parole girano, ti danno il tormento, non si vogliono allineare in fila per dare sfogo libero a un pensiero. Di giorno fai tranquillamente le tue cose e all’improviso loro si affacciano alla tua porta chiedendo di essere sentite. Il tormento è talmente forte che per settimane non sono riuscita a scrivere nulla qui sul blog. Mi piace ascoltare le parole, mi piace quando riesco ad usarle, mi piace donarle agli altri e leggerle nei libri. Oggi, direbbe qualcuno, siamo pieni di parole. Una volta, penso ai tempi dei miei nonni, le persone erano di poche parole, quando si diceva qualcosa era detto con talmente tanta verità e senso che quello ti bastava per una vita intera. Oggi invece siamo circondati di parole dette con leggerezza tante volte sui social, in TV, alla radio o nei vari podcast. Si danno per scontato i detti, non si valorizzano più i pensieri e i libri. Cadiamo quasi in banalità se vogliamo usare parole corrette e gentili, ormai per essere ai tempi con la vita moderna scarabocchiamo e insultiamo il nostro linguaggio, trasformiamo le parole e le usiamo solo per ferire, insultare o deridere.
Mi piace leggere le parole, mi piace quando mi accorgo quanto mi arrichisco e quanto mi perdo via pensando, leggendo, annalisando, amando un libro!
Mi piaciono le parole!
Rimango sbalordita e incantata quando trovo libri che mi colpiscono in pieno petto e mi lasciano senza fiatto. Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna del lettore, mi sono imbatutta sono in letture sconvolgenti! Sapete qual’é la mia parte preferita quando lego un libro? Quando chiudo il libro dopo che l’ho abbia finito. Mi perdo per giorni a pensare alla trama, sopratutto ai personaggi, all’ambientazione e anche al messaggio che lascia il libro che ho appena finito di leggere. Ci sono dei libri che sconvolgono fino alle lacrime, libri che vorresti che non finiscano più, letture che ti fanno sentire parte di quello che stai leggendo, come se sentissi/annusassi l’aria che stanno respirando i personaggi. E’ incredibile il mondo che si crea dentro di me e abbandonarsi a esso! Quando mi capitano letture del genere mi accorgo quanto invidio gli autori. Ditemi se non è una benedizione avere il dono di creare mondi e storie che ti fanno innamorare, volare, spezzare il cuore ma allo stesso momento donare ossigeno. Ammiro moltissimo gli autori o le autrici che usano le parole per spiegare la vita, per spiegare che la vita è fatta di mille volti. Lo fanno con talmente tanta semplicità e naturalezza che finisci per capire quanto potere hanno le parole usate al modo giusto. Ecco, si, alla fine quando si trovano autori del genere si capisce che si trova un tesoro. Vi lascio qualche nome degli autori che vorrei al meno una volta incotrare e fare una sola domanda: “Come sono riusciti a domare le parole creando opere straordinarie come le loro?”
Tiffany McDaniel, Paolo Cognetti, Valèrie Perrin, Guzel’ Jachina, Marco Balzano.
Ma ce ne sono moltri altri ancora.
Immaginate solo per un momento quanto potere ha ognuno di noi dentro di se. Se solo imparassimo ad usare le parole giuste quanti litiggi, guerre finirebbero. Non avremmo bisogno di nient’altro, ne di scudi, ne di armi solo della nostra bocca, anima e buon senso.
Ecco oggi sono riuscita ad allineare le parole, forse erano mature al punto giusto per far nascere questo articolo. Mi piaciono le parole, alla fine, con la loro semplicità si possono creare tanti mondi.
Vi lascio i nomi di alcuni libri che ho letto. Spero che vi lasciano dentro un mondo profondo e sconvolgente come lo hanno fatto con me.
“Sul lato selvaggio” di Tiffany McDaniel
“L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany McDaniel
“La ladra di parole” di Abi Darè
“Chiamami col tuo nome” di Andrè Aciman
“Resto qui” di Marco Balzano
Buona Lettura!
Tatiana