I miei stupidi intenti.

I miei stupidi intenti

Era un po’ di tempo che cercavo una lettura che desse o mi aiutasse a dare un ragionamento logico agli avvenimenti umani. Le letture quelle leggere che fanno sorridere o viaggiare con la fantasia fanno bene, restituiscono tanta leggerezza però arriva un momento in qui si cerca qualcosa di importante. Si cerca tra i scaffali della biblioteca pagine con un certo peso, che facciano riflettere.

“I miei stupidi intenti” è davvero una boccata di ossigeno puro. Quello che all’inizio sembra una storia come tutte altre si trasformerà pagina dopo pagina in una ricerca del senso della vita. Pagina dopo pagina il lettore si affiancherà al personaggio principale alla ricerca di una spiegazione: chi è Dio? Fa paura la morte? È importante l’amore? Come possiamo lasciare una traccia, una eredità di noi stessi a questo mondo?

L’autore è stato geniale, ha creato una storia dove i personaggi sono tutti animali. Animali che dopotutto nella loro ingenuità e lotta per la sopravvivenza cercano “Un” qualcosa. Alla fine anche noi umani siamo animali addomesticati che non ci fermiamo mai, cerchiamo “Un” qualcosa che spieghi la nostra esistenza.

Il libro narra la vita di Archy che è una faina. Archy dai primi istanti della sua esistenza lotterà per sopravvivere – il mondo animale è così. Poi rimarrà zoppo e questo farà si che la sua famiglia si sbarazzassi presto di lui perché diventava un peso da mantenere. La mamma di Archy lo venderà al usuraio della foresta; volpe avara di nome Solomon, per una gallina e mezza.

La dura convivenza con la volpe fece capire a Archy che il mondo non è solo quello che riesce a vedere con gli occhi. Presto Solomon li farà scoprire che il mondo ha un Padre e che l’uomo crede in quel Padre chiamato Dio. La vecchia volpe conosceva le parole degli umani, sapeva leggere e scrivere. E custodiva con grade gelosia un tesoro: un libro dove era scritta la parola di Dio. Salomon insegnò poco a poco anche a Archy il valore del duro lavoro e poi la parola di Dio e spiegò al suo alunno che l’amore unico sta nel Padre del mondo e la morte e la solitudine fa parte del percorso.

Questo libro è una favola dal carattere spietato. Una parabola che cerca il senso della vita, della morte, dell’amore legato alla parola. Archy non è che tutti noi, con i nostri destini che cerchiamo di capire cosa può salvare il mondo. Il parallelismo creato dall’autore in questo libro è geniale; così come gli animali per sopravvivere si mangiano a vicenda, anche noi umani per dare ragione ai nostri folli desideri e avarizie iniziamo guerre e distruzioni. Un animale malato, zoppo o malconcio è destinato a essere messo da parte, mangiato o ucciso così anche un essere umano debole, con disabilità o diverso nei suoi modi di vedere il mondo viene deriso, messo da parte o addirittura emarginato.

L’uomo ha sempre cercato la sua salvezza, il suo conforto in un Dio, un Dio che promette il Paradiso dopo la morte. In questo romanzo la narrazione si fa ancora più intensa quando Archy si chiede se esiste una salvezza, un Paradiso anche per gli animali. Si chiede se l’amore, i sentimenti possono dare conforto e se la morte fa sentire soli, la paura della morte è la chiave principale di questo libro. Archy fino alla fine dei suoi giorni sarà alla ricerca della verità, del senso della sua esistenza come animale, come anche l’uomo che non si ferma mai; legge, scrive, fa ricerche, si innamora e si batte per scoprire il senso di tutto quello che lo circonda.

Vi consiglio la lettura di questo libro che a tratti sembra quasi ad avere tracce filosofiche ma con un linguaggio trascinante ma semplice che arriva dritto al cuore del lettore.

Dal libro: “Dio porterà la mia anima chissà dove, disperderà il mio corpo nella terra, ma i miei pensieri rimarranno qui, senza età, salvi dai giorni e dalle notti. Questo basta a darmi la pace, come il Paradiso per Solomon. Forse, come aveva scritto lui, davvero sono un uomo anch’io, e sarò salvato. Forse Dio mi ha reso un animale per mettermi alla prova.

Tatiana

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