Come una rana d’inverno.

Qualche settimane fa ho letto il libro “Come una rana d’inverno“. Un libro che racconta attraverso tre testimonianze cosa è stata la Shoah per il popolo ebreo e soprattutto cosa è stata la Shoah per le donne! Perché siamo abituati quasi a pensare in un solo senso e direzione quando parliamo delle persone deportate, si fa un pensiero unico, quando si leggono libri o testimonianze siamo abituati a nomi maschili, ma si deve sapere e riconoscere che le donne hanno subito qualcosa in più. Le donne che sono portatrici della vita e della cultura materna, una volta arrivate nei campi di sterminio diventavano il nulla. In questo libro tre donne sopravvissute ad Auschwitz raccontano cosa è stato per loro ricevere quel numero sul braccio e in automatico perdere la propria identità. Le tre donne protagoniste di questo importante libro sono: Liliana Segre, Gotti Bauer e Giuliana Tedeschi.

Nei lagher nessuno era più padrono del proprio corpo, immaginate che orrore e disumanitá si poteva provare. Alle donne venivano rasati i capelli, le donne perdevano le mestruazioni e dovevano marciare nude davanti ai soldati delle SS, la nudità era una costante che veniva vissuta dalle donne come una grande persecuzione morale. Le donne incite arrivate nel campo di sterminio venivano eliminate subito e sulle prigioniere donne venivano eseguiti esperimenti su tutto il corpo sopratutto nelle parti genitali. Dovevano subire le umiliazioni e dimenticarsi chi erano fino a quel momento.

Nel libro viene spiegato molto bene come le condizioni di vita nei lagher era fatto per disumanizzare le persone!

Ecco alcuni passaggi del libro:

Goti Bauer racconta: “Il desiderio di umiliarci e di degradarci era primario... La visione continua di quella fiamma e quell’odore tremendo ti impedivano assolutamente di pensare ad altro…”

Liliana Segre racconta:”Non mi guardavano come una donna, ma come un capo di bestiame di cui andassero esaminati i quadri… Il digiuno era così violento che nel giro di pochiossimo tempo là dove c’era il seno non restava più niente o, in certe donne, solo un po’ di pelle cascante… Hai la testa rasata, non hai uno specchio, non hai nulla. Eri una persona che non aveva più nulla! Non hai un fazzoletto, non hai un libro, non hai una fotografia… Le donne prigioniere sfilavano per essere lasciate in vita o per essere messe a morte, sempre nude tra i soldati in divisa…”

Giuliana Tedeschi racconta: “Le donne non hanno cominciato a testimoniare in pubblico da subito, ci hanno messo del tempo, forse perchè per noi era troppo doloroso. Per le donne è stato tutto uno strappo continuo, un attacco alla nostra stessa identità femminile… Nel lagher non si rideva, quelle rare volte che capitava era un dono prezioso, un miracolo, forse la cosa più profondamente umana…”

Nella sua testimonianza Liliana Segre racconta di come lei e suo papà sono stati catturati e messi sui vagoni dalla Stazione Centrale di Milano verso Auschwitz. Liliana anche oggi si chiede di come è stato possibile tutta quella indifferenza da parte di tutti quelli che lavoravano alla stazione che sicuramente erano a conoscenza di cosa accadeva di notte e di chi veniva caricati sui vagoni e dove portava il binario 21. Liliana racconta: “I treni della deportazione avevano la precedenza assoluta, e sono partiti per quasi due anni in continuazione, senza che nessuno scambista si sia opposto. Pensi quante stazioni da cui sono passati i treni dei deportati, come la Stazione centrale di Milano… Le ferrovie sono state una pedina importantissima dello sterminio…”

Le Ferrovie dello Stato come le ferrovie europee erano colpevoli quanto i nazisti in questo malvagio piano, perchè hanno lasciato a “disposizione” dei nazisti le linee ferroviare per compiere le deportazioni.

Appena avevo finito di leggere il libro sentivo che dovevo andare a Milano al Museo della Shoah che si trova proprio alla Stazione Centrale di Milano. Proprio sui binari da dove partivano i vagoni con le persone verso i campi di sterminio. Come Liliana e suo papà, dal 1943 al 1944 da quei binari sono partiti 774 deportati ebrei e ne sono sopravvissuti solo 27 di loro. All’ingresso del Museo c’è un muro con sopra la parola “Indifferenza” e il perchè di questa parola chiave lo troviamo nelle parole di Liliana Segre: “L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perchè quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. Indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori.”

Mettere piede e toccare con le punta delle dita quei vagoni è stato straziante. Ascoltare il raccono della guida del museo è stato molto utile. Se avete la possibilità visitate il museo, i nodi in gola saranno tanti ma per rispetto e per la memoria di tutte quelle persone innocenti tutti devono sapere, condannare e conoscere la storia!

L’interno di un vagone. Museo della Shoah di Milano.

Mentre ero lì mi erano venute in mente le parole di Goti Bauer che avevo letto nel libro: “Noi siamo usciti da Auschwitz, ma Auschwitz non è uscita di noi. È stata un’esperienza troppo traumatica…tutto quello che è successo lì dentro, tutti quei bambini a cui non si è potuto portare soccorso, tutti quei vagoni che arrivavano, quei convogli infiniti che scaricavano centinaia e centinaia di persone al giorno che andavano a gas… È indimenticabile.”

“Considerate se questa è una donna/ Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno.” (Primo Levi)

Tatiana